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La personalità conta più dell’intelligenza, secondo il premio Nobel per l’economia

Albert Einstein e Frank Aydelotte. Einstein aveva anche una personalità vincente. Credit: AFP/Getty Images

Se sei così intelligente, perché non sei ricco? Una nuova ricerca condotta dall'economista James Heckman sostiene che la personalità ha un effetto maggiore sul successo rispetto al QI

Di Clarissa Valia
Pubblicato il 4 Giu. 2018 alle 15:46 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 18:54

L’influenza del livello del Quoziente d’Intelligenza nel reddito dei lavoratori secondo i dati pubblicati nella rivista della National Academy of Sciences si attesta intorno all’1 o al 2 per cento.

Quindi se il QI è solo un fattore che ha un’influenza minima nel successo, cos’è che divide i guadagni bassi da quelli alti? E perché se sei così intelligente non sei anche ricco?

La fortuna gioca certamente un ruolo importante, ma secondo recenti studi ci siamo sempre dati una risposta sbagliata. Credere infatti che avere successo nel lavoro e quindi guadagnare più soldi dipenda principalmente dall’intelligenza è sbagliato.

L’economista premio Nobel James Heckman sostiene che un altro fattore chiave è la personalità.

Heckman afferma che il successo finanziario è correlato alla coscienziosità, un tratto della personalità caratterizzato dalla diligenza, dalla perseveranza e dall’autodisciplina.

Per arrivare a questa conclusione, Heckman e i colleghi hanno esaminato quattro diversi set di dati, che, tra loro, includevano punteggi del QI, risultati dei test standardizzati, voti e valutazioni della personalità per migliaia di persone nel Regno Unito, negli Stati Uniti e nei Paesi Bassi.

Alcuni dei set di dati hanno tracciato le persone per decenni, rintracciando non solo il reddito ma anche i precedenti penali, l’indice di massa corporea e la soddisfazione di vita.

Lo studio ha rilevato che i voti e i risultati dei test sono stati migliori predittori del successo degli adulti rispetto ai punteggi del QI.

I gradi riflettono non solo l’intelligenza, ma anche ciò che Heckman chiama “abilità non cognitive“, come la perseveranza, le buone abitudini di studio e la capacità di collaborare.

Heckman che ha vinto, insieme a Daniel McFadden, il premio Nobel per l’economia nel 2000, è anche il fondatore del centro Economia dello Sviluppo Umano dell’Università di Chicago.

L’economista statunitense ritiene che il successo non dipenda solo dalle abilità innate ma da abilità che possono essere trasmesse e insegnate.

L’apertura è un tratto della personalità più ampio che include anche la curiosità, ed è collegato ai punteggi dei test e ai voti.

Ma Heckman sostiene che molte persone non riescono a entrare nel mercato del lavoro perché mancano di competenze che non possono essere calcolate dai test di intelligenza.

Non capiscono come comportarsi nei colloqui di lavoro, arrivano tardi o non si vestono correttamente. O quelli che sul posto di lavoro dicono che non faranno più del minimo.

John Eric Humphries, un coautore della ricerca, dice che spera che il loro lavoro possa aiutare a chiarire la nozione complicata, spesso fraintesa, di abilità.

Persino i test del QI, che sono stati progettati per valutare le capacità innate di risoluzione dei problemi, sembrano misurare molto più della semplice intelligenza.

In uno studio del 2011, la psicologa dell’Università della Pennsylvania Angela Duckworth ha scoperto che i punteggi del QI riflettevano anche la motivazione e gli sforzi dei partecipanti.

I ragazzi diligenti e motivati ​​lavorano di più per rispondere a domande difficili rispetto a quelli ugualmente intelligenti ma più pigri.

Cosa c’entra tutto questo con l’economia? “Il nostro obiettivo finale è quello di migliorare il benessere umano”, dice Heckman, e un importante fattore di benessere si riduce alle competenze.

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