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    “Di Maio non blocca le vendite di armi in corso verso la Turchia”: la denuncia di Rete Disarmo

    "In base alla legge 185 del '90 le forniture potrebbero essere bloccate immediatamente, ci auguriamo che le armi non vengano usate contro le popolazioni curde"

    Di Madi Ferrucci
    Pubblicato il 16 Ott. 2019 alle 20:22 Aggiornato il 10 Gen. 2020 alle 20:12

    “Non c’è nessun blocco dei contratti in corso per la vendita di armi alla Turchia”

    Oggi il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha firmato un atto interno alla Farnesina per fermare le vendite future di armi alla Turchia da parte dell’Italia, per i vecchi contratti invece sarà fatta un’indagine istruttoria e il blocco non sarà disposto nel breve termine. “Di Maio non blocca le forniture di armi in corso verso Turchia, chiediamo che vengano sospese fino al termine dell’istruttoria”, ribadiscono gli attivisti di Rete Disarmo.

    L’Italia dal 2016 al 2018  ha ricevuto autorizzazioni per l’esportazione di  761,8 milioni di euro di armamenti verso la Turchia. 362 milioni solo nell’ultimo anno. A certificarlo è la relazione di Camera e Senato dello scorso aprile.  Questa cifra, come riportato nello stesso documento, “colloca la Turchia “tra i primi 25 Paesi destinatari di licenze individuali di esportazione nel 2018”, per la precisione tra i primi tre, dopo il Qatar e il Pakistan.

    Se invece teniamo conto del dato complessivo a partire dal 2015 le autorizzazioni concesse per l’esportazioni di armi salgono a 890,6 milioni di euro. Nel 2018 le armi effettivamente consegnate erano poco più della metà per un valore di 463,8 milioni di euro, il che significa che l’altra metà deve ancora arrivare a destinazione. Più della metà degli ordini quindi devono ancora essere inviati e se il blocco dell’export riguarderà solo “i prossimi contratti”, circa 426, 8 milioni di euro di armamenti sarebbero ancora autorizzati a partire indisturbati e l’indagine del governo potrebbe fermarle solo in tempi lunghi.

    Rete disarmo chiede invece “che tutti gli invii di armi siano sospesi fino al completamento delle istruttorie su ciascuna autorizzazione e auspica che questa procedura porti comunque al blocco complessivo della vendita di armi. Unica modalità realmente efficace di contribuire a fermare il conflitto in corso in Siria”.

    Solo con questa clausola, infatti, sarebbe pienamente rispettata la legge 185 del ’90 che vieta l’esportazione di armi verso “Paesi in stato di conflitto”. In base alla nostra legge un blocco sarebbe in effetti già possibile anche senza passare da una preliminare istruttoria ma il governo vuole esaminare tutte le forniture prima di stabilire quali fermare.

    “Una decisione di blocco totale e immediato, senza quindi dover mettere in campo istruttorie e verifiche sul passato, si sarebbe già potuta e dovuta prendere fin da ora anche nel rispetto del dettato Costituzionale (art. 11), della legge 185/1990 che regolamenta le esportazioni di armamenti e delle norme internazionali (Posizione Comune UE e Trattato ATT) sottoscritte dall’Italia”, ribadiscono le organizzazioni.

    Tutte le armi che l’Italia esporta in Turchia

    “Ci auguriamo che l’atto interno alla Farnesina concretizzato oggi preveda questa fondamentale clausola, che rappresenta l’unica garanzia che nuove armi italiane oltre a quelle già consegnate in passato non vengano d’ora in poi utilizzate contro le popolazioni curde. Una decisione di blocco totale e immediato, senza quindi dover mettere in campo istruttorie e verifiche sul passato, si sarebbe già potuta e dovuta prendere fin da ora anche nel rispetto del dettato Costituzionale (art. 11), della legge 185/1990 che regolamenta le esportazioni di armamenti e delle norme internazionali (Posizione Comune UE e Trattato ATT) sottoscritte dall’Italia”, aggiungono.

    “Sono solo problemi formali e facciamo appello al Ministro affinché non si faccia influenzare da chi, anche in questi giorni, ha rallentato o impedito una scelta politica forte e doverosa come quella dello stop all’invio di armi alla Turchia sulla base di fantomatici problemi formali che in realtà non esistono”, concludono.

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