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    La politologa Urbinati a TPI: “Ora il problema è cosa Trump vorrà in cambio per aver concesso una transizione ordinata a Biden”

    Donald Trump Credits: ANSA

    La professoressa, docente di scienze politiche alla Columbia University di New York: "Ora bisogna vedere cosa vuole Trump in cambio: per esempio una grazia per tutte le leggi che ha evaso in 4 anni. Se si arriva a usare il 25esimo emendamento o un impeachment, avremo il problema Trump per tutta la presidenza Biden. E occhio alla vera eredità del Tycoon, cioè il cospirazionismo. Molto più sottile e rischioso dell'assalto a Capitol Hill, che però è una cosa da non sottovalutare: potrebbe succedere anche in Italia"

    Di Veronica Di Benedetto Montaccini
    Pubblicato il 8 Gen. 2021 alle 17:50 Aggiornato il 8 Gen. 2021 alle 20:50

    L’America all’indomani dell’assalto al Congresso, la transizione così complessa per Joe Biden, gli equilibri politici dopo quattro anni di presidenza Trump: ne abbiamo parlato con Nadia Urbinati, politologa italiana naturalizzata statunitense, docente di scienze politiche alla Columbia University di New York.

    Professoressa, intanto quello del 6 gennaio 2021 a Capitol Hill è stato un tentato colpo di stato?
    “No, non è un tentato colpo di stato. E’ una prova di forza che è stata provocata da Trump, che è restato in disparte quasi a guidare psicologicamente questi seguaci zelanti e molto violenti. Però è stata una prova che lui ha voluto usare per mostrare il potere che ha di mobilitare i suoi hoolligans, per potere in cambio chiedere qualcosa. A mio parere ha tirato tanto la corda per poter spaventare e ottenere.

    Cosa vuole in particolare?
    “Trump vuole evitare i guai con la giustizia per la monumentale evasione fiscale. Vuole una “grazia” ex ante. Vuole un trattamento che da non presidente non avrebbe più. Ha bisogno di prepararsi ad un futuro post-presidenziale che da normale cittadino potrebbe essere problematico, perché in questi quattro anni ha violato diverse leggi e ha conseguenze penali che lo aspettano. E’ da anni che non paga le tasse e prima o poi la giustizia arriverà anche per lui. Non è neanche il fatto di non accettare la sconfitta, ma il ruolo di potere che vuole mantenere e gli interessi personali da difendere, anche per preservare il suo impero economico, che ha già subito diverse battute d’arresto. Come sempre lui dice, non è abituato a perdere. Ma non vuole rimanere alla Casa Bianca, perché sarebbe un golpe vero e proprio. Quello che vuole è convincere che se vogliono avere una transizione tranquilla devono dargli qualcosa in cambio, sia i dem che i gop”.

    Anche il partito Repubblicano vuole scaricarlo adesso…
    “Lui ha perso credibilità anche con la gran parte del partito Repubblicano, che sta pensando a come neutralizzarlo. Se esonerarlo e sospenderlo prima della fine naturale della sua presidenza tra due settimane, oppure addirittura anche usare l’emendamento 25”.

    Ecco, a proposito del 25esimo emendamento. Da anni viene invocato. Adesso potrebbero veramente usarlo? Il dibattito in queste ore negli Usa è molto acceso. 
    “E’ un processo molto lungo, che ha un argomento molto specifico e molto preciso: l’eversione. Ieri Biden nel suo discorso dopo essere stato accreditato come 46esimo presidente dal Congresso ha parlato di sedizione. Quindi il problema non è la violenza – che pure è presente – il problema è la sedizione. Che è una categoria giuridica ben precisa, ovvero la volontà di un gruppo, o in questo caso di chi è al potere di sovvertire. E quindi quando il presidente non è più in grado di adempiere alla sua carica”.

    Facciamo una specifica sul 25esimo emendamento. Quand’è che un presidente non è più in grado di svolgere il suo compito?
    “Non viene invocato solo per cause psichiche/psichiatriche. Significa anche che cessa di essere il presidente di tutti, per esserlo solo di una parte della popolazione, per esempio. Non è la prima volte che viene ventilato, per esempio fu proposto per Ronald Reagan, che passò un periodo di “mancanza di voglia di lavorare”. Un’apatia che preoccupò il suo governo. Qui però si parla per Trump di aver perso la statura presidenziale, perché ormai ha preso posizioni chiaramente di attacco all’esito elettorale e quindi all’abc della costituzione americana”.

    Molti giornali americani – addirittura il Wall Street Journal, quotidiano conservatore che ha più volte difeso Trump in questi anni – lo invitano a dimettersi subito. Potrebbe succedere secondo lei?
    “Il 25esimo emendamento è un iter lungo e impegnativo. Non si dimetterà mai, ma una naturale accettazione della situazione a fine mandato sarebbe auspicabile. Perché altrimenti si trascinerà il problema Trump anche per tutta la presidenza Biden. Per questo c’è un’accesa discussione in corso, perché nessuno vuole davvero questo, perché è necessario voltare subito pagina. Sarebbe meglio convincere il signor Trump ad andarsene da solo, come lui ha promesso. Anche se non c’è mai da fidarsi di una promessa di Trump. A mio parere in questo momento non è conveniente usare il 25esimo emendamento”.

    Secondo lei l’assalto al Congresso è uno spartiacque nella storia americana? Un precedente pericoloso?
    “Ce ne sono stati di assalti nel passato. Certamente in questo secolo è il primo e è il primo che ha a che fare con una vera e propria democrazia populista. Questo è l’emblema di un populista al potere, che vuole restare al potere e che vuole usare il proprio popolo contro le istituzioni per ridarle in mano al popolo”.

    Ci sono delle assonanze con altri populismi al potere?
    “C’è una grande discussione negli Usa sulle somiglianze con l’America Latina. Loro non vogliono essere paragonati ai latino-americani perché si sentono infinitamente superiori, però di fatto quello che sta accadendo è una latinoamericanizzazione della presidenza Trump”.

    Ma secondo lei in Italia potrebbe mai succedere una cosa del genere?
    “Certo, potrebbe prendere piede ovunque. Le costituzioni sono forti, ma poi ci può sempre essere una persona che ha tanta voglia di potere per cui si sente fuori dalle norme, dalle procedure, dalle istituzioni. Da noi lo hanno fatto i fascisti, occupando il Parlamento. In Germania hanno addirittura dato fuoco al Palazzo del Reichstag. Quindi i populisti che giungono al potere possono dare molti cattivi esiti. Può succedere sempre nelle democrazie, che sono basate sull’idea che tutti rispettino le regole. Se proprio chi è al potere non le rispetta è un gran problema”.

    Più che altro con questo episodio si è visto come si possa sgretolare anche la sicurezza, la logistica. Per esempio la Guardia Nazionale poteva intervenire molto prima…
    “Anche su questo c’è molta discussione. Voglio ricordare un discorso di Biden in campagna elettorale prima del 3 novembre, che purtroppo non ha avuto molto peso in Europa, in cui ha detto esplicitamente che le forze dell’ordine statunitensi sono di parte, sono faziose. Questa è una cosa gravissima, certificata anche dall’attuale presidente dunque, non da un commentatore politico. Dall’uccisione di Floyd in poi dentro al partito democratico c’è una corrente che spinge per la riorganizzazione totale dei corpi di polizia. Come necessità e urgenza”.

    Le differenze di trattamento della Polizia tra il 6 gennaio e invece le manifestazioni pacifiche dei Black Lives Matter sono state abissali. Biden riuscirà a sanare questa ferita sociale?
    “Il diverso trattamento è sotto gli occhi di tutti. Si parla proprio di un bisogno di rieducazione delle forze di Polizia. I più radicali parlano addirittura di scioglimento dei corpi di Polizia”.

    L’altra cosa che è venuta fuori con l’assalto a Capitol Hill è che questi gruppi cospirazionisti dai neoterroristi a QAnon non sono solo online. Chi sono e quanto sono pericolo offline?
    “Questo fenomeno è in realtà tradizione della storia americana. Risaliamo per esempio a Unabomber, Theodore John Kaczynski, noto criminale e terrorista che 15 anni fa fu un esempio molto chiaro di chi poteva mettere bombe nei palazzi del governo. Fu un segno di movimenti e gruppi terroristici. E sono tantissimi. C’è un libro molto bello che vi consiglio, di una grande scienziata politica che è Nancy Rosenblum, ‘Civil Society and Government”, e un intero capitolo parla di come le organizzazioni terroristiche ci sono e si organizzano tra sette e gruppi armati in tutto il Paese. E oggi hanno questa caratteristica un poco nuova: la loro idea che la politica non impersonata dai loro leader sia diabolica nel fare degli Stati Uniti una tirannia”.

    Salvo poi voler prendere il potere…
    “Usano la tirannofobia. Che è una caratteristica repubblicana tipica dal 1700. L’idea che il cittadino debole è sempre giustificato davanti al potere forte. Secondo loro il cittadino si deve difendere e armare. Alla base c’è quella che oggi chiamiamo fake-news, ma non è nuova questa idea: creare una narrativa che diventa realtà e che presume che tutto quello che ci viene detto sia una cospirazione contro il popolo. Un’idea a cui Trump per la prima volta nella storia ha dato molto credito. Ecco la novità”.

    E’ questa quindi l’eredità di Trump?
    “Lui ha creato una nuova forma e una nuova pratica di cospirazione. Non se ne parla mai in Italia. Prendiamo la più grande struttura cospirativa della storia: quella del Maccartismo, l’anti-comunismo. Non ci si fida di chi è al potere, ma quella forma lì che aveva coinvolto anche Hollywood, poeti, scrittori, tutti, si fondava però sulla ricerca delle prove. C’erano lunghi processi, con avvocati, pro e contro. Loro volevano la prova che fosse vero”.

    Invece questa volta?
    “Il nuovo cospirazionismo non vuole prove. E’ basato invece sul ‘si dice’, sulla chiacchiera. Un esempio su tutti? Le accuse rivolte a Hillary Clinton rispetto ai suoi legami con strutture pedofile e scambi di mail. Trump usava solo dicerie, sentiti dire. E mentre il Maccartismo, se pur grave, usando le prove aveva l’obiettivo di difendere lo status quo e le istituzioni, il cospirazionismo di Trump vuole invece sovvertirle e demolirle”.

    Lo speciale di TPI sul cospirazionismo in quattro puntate

    Una differenza molto pericolosa. Ma a queste teorie sono andati dietro molti americani…
    “Una ricerca demoscopica proprio di ieri, dice che il 40 per cento dei cittadini americani crede che le elezioni siano state rubate. E Trump ha detto ogni singolo giorno questa cosa usando l’argomentazione ‘scusate le prove non ce le vogliono dare, ma io so, lo sento, che le elezioni sono state truccate’. 4 persone su 10 pensano che abbia ragione. E’ gravissimo e devastante. Su questa base le istituzioni sono spacciate, perché hai da una parte il credo, quasi una religione e dall’altra quello che viene visto come il male assoluto. Come fai a far cambiare idea a quel 40 per cento?”.

    Forse questa cosa è ancora più grave rispetto all’assalto al Campidoglio?
    “Secondo me sì, perché il Congresso è stato messo in sicurezza, mentre il cospirazionismo continuerà a strisciare e ce lo porteremo dietro ancora per anni. Sarà un’idea molto difficile da cambiare, come fai a cambiare una fede? Quindi noi avremo il trumpismo presente nel partito repubblicano e nei cittadini ordinari che detestano il potere. Del resto, gli viene dalla tradizione calvinista che detesta il potere, che lo vede sporco e peccaminoso. Quel 40 per cento di repubblicani crede che Biden sia un tiranno alla Casa Bianca che ha rubato i voti per prendere lo sporco potere. Belle premesse, insomma”.

    Con l’assalto del 6 gennaio è passato in sordina però un risultato altrettanto storico: quello in Georgia. C’è un raggio di speranza in quell’elezione di due senatori dem?
    “La Georgia è un fatto straordinario, perché mostra che il partito democratico (e deve valere anche per noi come insegnamento!) possa davvero rispondere alle bordate populiste ricostruendo il rapporto con il territorio e con i cittadini. Come ha fatto Stacey Abrams in Georgia negli ultimi 15 anni. E con lei altre donne, che sono state fondamentali come organizzatrici di movimenti, attiviste. Hanno avuto un ruolo chiave. Non solo come opinioniste, ma fattuali per battaglie grosse come la scuola, l’aborto, i problemi abitativi, il salario minimo. Hanno fatto questo lavoro nelle contee, nelle province, andando a cercare persone che si erano completamente disamorate e distaccate dalla politica, che erano fuori dal radar elettorale e le hanno portate a votare, e non una sola volta. Chi si stupisce, vuol dire che non ha seguito l’enorme lavoro fatto in tutti questi anni. Il Pd italiano avrebbe tutto da imparare”.

    La Gergia come modello dem dunque?
    “Siamo chiari: la democrazia populista non nasce come un fungo, nasce sulle ceneri della democrazia dei partiti. Prima negli Usa i partiti riuscivano a catalizzare associazioni, grassroots movements, il partito dem aveva perso molto smalto su questo. E quindi dove vanno gli scontenti di lavori sempre più precari? Non certo nel partito democratico che li ha delusi. Occorre quindi ripartire da lì”.

    Cosa dovremmo tenere sott’occhio nei prossimi mesi secondo lei?
    “Quanto sta cambiando il partito repubblicano, ecco a cosa bisogna prestare attenzione. Trump lo ha fatto cambiare e ci saranno ancora nuovi riscontri. C’è una parte dei Gop che diventa molto più ‘socialista’, parola che non si può dire in America. Guardiamo in quante leggi e emendamenti Sanders e i suoi sono stati d’accordo con una parte dei repubblicani. Questo è molto interessante, perché il tema della perdita di lavoro e quindi il lavoro come questione nazionale in riferimento al globalismo. E chi ha preso in mano questo tema è il partito repubblicano. E la frangia sanderista più Ocasio Cortez del partito democratico. I mutamenti si vedranno tra non molto e non sono basati una crisi di democrazia, di cui sento parlare ma a cui non credo. Questo è parte della democrazia, sia lo scontento sia le rivolte. Avvengono proprio perché qualcosa deve cambiare”.

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