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    “In Turchia chi difende i diritti umani è accusato di terrorismo: vi racconto le torture e i processi farsa agli avvocati”

    Il presidente turco Erdogan. Credit: ANSA/EPA/TURKISH PRESIDENTIAL PRESS OFFICE

    Dal fallito colpo di stato del 2016, in Turchia oltre 1,546 avvocati sono stati indagati, 605 arrestati, 345 condannati per un totale di più di 1603 anni di prigione. L'avvocatessa turca Şerif Ceren Uysal, attualmente esule in Austria a causa dell’esercizio della sua professione, si sta mobilitando con una petizione internazionale per il rilascio dei suoi colleghi

    Di Lucia Lipari
    Pubblicato il 9 Giu. 2020 alle 14:21 Aggiornato il 9 Giu. 2020 alle 14:28

    Şerif Ceren Uysal: “Vi racconto le torture e i processi farsa agli avvocati in Turchia”

    Istanbul: con l’appello dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione (16^ Camera Penale) pr. no. 2020/1499 E riparte la mobilitazione internazionale contro le pesanti condanne e i processi sommari in Turchia ai danni degli avvocati: Selçuk Kozağaçlı, Aycan Çiçek, Barkın Timtik, Engin Gökoğlu, Behiç Aşçı, Aytac Ünsal, Ebru Timtik.

    Sulla vicenda l’attenzione della comunità internazionale e dei consigli degli ordini professionali è alta. In queste ore infatti si sta portando avanti una petizione internazionale per il rilascio degli avvocati ingiustamente detenuti a Silivri, carcere militare a 150 km di distanza dalla più gettonata città turca, Istanbul, anche in ragione dello scoppio della pandemia da Coronavirus. Si assiste da tempo ad impianti accusatori formulati sulla base di dichiarazioni confidenziali di presunti testimoni, la cui identità non è nota, e i processi farsa sono svolti in assenza di contraddittorio. Và comunque considerato che la repressione e la violazione dei diritti della difesa in Turchia sembrano un fenomeno radicato, che si ravvisa già negli anni precedenti al fallito colpo di stato per rovesciare il presidente Erdogan.

    Si è di fronte ad avvocati illegittimamente condannati a lunghi anni di prigionia perché ritenuti pericolosi dal regime di Ankara e colpevoli di assistere famigliari delle vittime delle stragi nelle miniere di Soma ed Ermenek, di difendere vittime di tortura nelle carceri e nelle stazioni di polizia, di imputati per reati di opinione, di lavoratori e di militanti politici o di cittadini la cui proprietà è stata arbitrariamente espropriata o che si opponevano al progetto di devastazione urbana Gezi Park, persone accusate di far parte del Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan, o di organizzazioni considerate dal Governo turco illegali o terroristiche, così si legge nella petizione per il rilascio degli avvocati detenuti.

    A parlare è Şerif Ceren Uysal, parte dell’esecutivo dell’Associazione di Avvocati Progressisti ÇHD processati in Turchia, attualmente esule in Austria a causa dell’esercizio della sua professione.

    Perché si trova in esilio a Vienna?
    Non riesco ancora a definirmi in esilio. Non è facile accettarlo. Ho deciso di lasciare il mio Paese appena è stato dichiarato lo stato d’emergenza, a seguito del tentativo fallito di colpo di stato. Il governo dichiarò di lì a poco la mia associazione, legata ad atti di terrorismo e noi fummo messi al bando. Molti membri vennero arrestati, incluso il presidente Selçuk Kozağaçlı.

    Da Vienna sto continuando a portare avanti le mie denunce, cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla compressione delle libertà in Turchia. Secondo il rapporto diffuso da Arrested Lawyers Initiative, associazione di avvocati turchi in esilio, dal giorno del tentato colpo di stato, avvenuto nel luglio 2016 in Turchia, oltre 1,546 avvocati sono stati indagati, 605 arrestati, 345 condannati per un totale di più di 1603 anni di prigione.

    Può dirci com’è andato il processo contro i suoi colleghi in Turchia? Ci racconta lo svolgimento di un’udienza tipo?
    Gli avvocati sono da anni sotto accusa in Turchia. Negli ultimi 10 anni tutti i coloro che si occupano di diritti umani subiscono processi con l’accusa di terrorismo. La polizia irrompe di notte nelle case degli avvocati ed i reati ascritti ai clienti, sono gli stessi che vengono addebitati agli avvocati, quasi una sorta d’identificazione. C’è stata addirittura una campagna di criminalizzazione contro la classe forense. Gli atti più importanti sono secretati ed inaccessibili agli avvocati, tutti quelli che artificiosamente definiscono gli avvocati come “terroristi” sono diffusi invece nel dettaglio dagli organi di stampa.

    Dal 2011 organizzazioni internazionali e diverse associazioni di avvocati, presenti in Europa, seguono i processi in Turchia e informano regolarmente la comunità internazionale su quanto accade. Siamo di fronte a processi farsa, in cui vengono ignorate le più elementari norme di diritto. Durante le udienze si assiste ad arringhe interrotte, microfoni spenti, richieste di prova respinte con ordinanze preventive che ne dichiarano l’irricevibilità, è respinta anche la possibilità di rendere dichiarazioni spontanee. È negato insomma ogni diritto di difesa, e le sentenze vengono emesse in assenza delle parti e dei loro difensori.

    Secondo Lei come andrà a finire? Che conseguenze ci saranno per tutti voi?
    Non ne ho idea! Penso che questo sia il problema: non ne ho idea. In un Paese basato sulla certezza del diritto è possibile effettuare stime sulle possibili decisioni giudiziarie, in Turchia no. C’è una grande pressione sui giudici, non possiamo parlare di indipendenza della magistratura nel mio Paese. In alcuni casi, anzi, osserviamo all’ingerenza del Governo o del presidente Erdoğan. Una volta, ha anche affermato di non accettare la decisione della Corte costituzionale. Quando si valutano tutte queste circostanze, si smette di fare stime.

    Perchè quest’accanimento contro la classe forense? O è un problema più generale di libertà fondamentali
    L’oppressione è contro tutte le persone che hanno una posizione contro il partito al potere. Le carceri turche possono essere chiamate “università”, sono piene di persone progressiste e di intellettuali, accademici, giornalisti, politici, avvocati e migliaia di studenti. In Turchia pubblicare una critica al regime sui social media potrebbe essere una buona ragione per venire arrestati.

    Da quando ci siamo costituiti come associazione, rappresentiamo le persone più vulnerabili completamente pro bono, combattiamo la tortura, la violenza della polizia e tutte le ingiustizie sociali. Per questo siamo visti come “nemici”, perché ogni volta che le autorità cercano di compiere un atto illegale o arbitrario, noi ci siamo. Per questo motivo, siamo stati arrestati molte volte, siamo stati picchiati, torturati, banditi, perchè difendiamo i diritti umani.

    Per la Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) sembra evidente la volontà di affievolire il dissenso, è così?
    Le osservazioni dell’OHCHR sono assolutamente giuste. Posso portare un esempio: la scorsa settimana sono stati arrestati tre deputati anti-Erdogan, due settimane fa invece un giovane, perché aveva avviato una campagna tweeter contro la violenza della polizia, polizia che aveva sparato ad un migrante di 17 anni uccidendolo.

    Qual è la situazione nelle carceri? Che trattamento è riservato ai detenuti?
    Oya Aslan, una donna, un avvocato membro della mia associazione, fu torturata quando venne arrestata. Gli osservatori internazionali provenienti dal Belgio durante il processo hanno visto il suo volto tumefatto. Anche Engin Gokoglu fu picchiato, gli spezzarono un braccio. Voglio parlare anche della situazione in cui versano due giovani colleghi: Aytaç Ünsal ed Ebru Timtik, loro stanno portando avanti lo sciopero della fame ad oltranza, fino alla morte, per vedere riconosciuto il diritto ad un processo equo, ad una giurisdizione indipendente e per chiedere di potere esercitare la professione forense. Tutto ciò al grido di death fast ed in nome della libertà. Non lo fanno solo per se stessi, ma per tutte le persone che subiscono questi soprusi. Siamo molto preoccupati per la loro condizione sanitaria. E stiamo cercando di supportare le loro richieste, perché sappiamo che un giusto processo è un diritto. In un paese democratico, non può essere un motivo per protestare, ma in Turchia si è obbligati a farlo.

    La stampa nazionale come sta trattando il tema? Cosa ne pensano i cittadini turchi?
    Esistono due tipi d’informazione in Turchia, quella mainstream, filo-governativa e pertanto non libera, che finge di ignorare la situazione, facendo da cassa di risonanza alle argomentazioni faziose del governo, e quella di diversi media gratuiti, che corrono rischi e denunciano le violazioni.

    La Turchia è un paese profondamente polarizzato, posso facilmente dire che metà della popolazione è contraria alla dittatura. Twitter è una piattaforma molto significativa per le persone e lì hanno la possibilità di esprimersi. La scorsa settimana abbiamo annunciato i risultati di una campagna a sostegno degli avvocati in carcere e avevamo oltre 11.500 firme da tutta la Turchia, anche la comunità internazionale ha sostenuto la campagna, è stato un risultato grandioso.

    Se dovesse rivolgersi alla comunità internazionale cosa direbbe? Di cosa ha bisogno?
    Abbiamo una campagna in corso in questi giorni. Chiediamo la sottoscrizione di una petizione per il rilascio degli avvocati in prigione, ma ovviamente questo potrebbe non essere sufficiente. Vogliamo che i nostri colleghi e il popolo europeo comprendano la situazione politica turca. Dovrebbero parlare di più di quanto succede, dovrebbero scriverne! Perché le cose che accadono in Turchia, non sono uniche e potrebbero interessare tutti. Quella turca è un’evidente dittatura ed è nostra comune responsabilità lottare contro di essa e lottare per l’affermazione dei diritti umani a livello internazionale.

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