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    Aung San Suu Kyi si è rifiutata di parlare dei rohingya in un incontro con un funzionario Onu

    Credit: Reuters/Phyo Hein Kyaw

    Secondo quanto riportato dal The Guardian, la premio Nobel per la pace avrebbe taciuto sulle violenze subite dalla minoranza musulmana

    Di Luca Serafini
    Pubblicato il 27 Dic. 2017 alle 12:37 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 19:24

    Secondo quanto riportato dal The Guardian, la premio Nobel per la pace e Consigliere di Stato della Birmania Aung San Suu Kyi, in un incontro con una funzionaria delle Nazioni Unite, avrebbe evitato di parlare delle violenze subite dalla minoranza rohingya.

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    Il quotidiano britannico scrive che Pramila Patten, inviata speciale dell’Onu sulle violenze sessuali perpetrate durante i conflitti, si è recata in Birmania per un colloquio personale con Aung San Suu Kyi a metà dicembre 2017.

    Come la stessa Patten ha riportato in una lettera inviata al Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, la leader birmana avrebbe evitato di impegnarsi in discussioni approfondite sulle violenze perpetrate dall’esercito del Myanmar ai danni dei rohingya.

    Ciò sarebbe avvenuto nonostante l’inviata speciale delle Nazioni Unite avesse presentato ad Aung San Suu Kyi dei report sulle violenze sessuali subite da centinaia di donne rohingya.

    “L’incontro con il Consigliere di Stato si è risolto in un colloquio di 45 minuti certamente cordiale – ha scritto Pramila Patten nella lettera a Guterres – ma sfortunatamente inconsistente dal punto di vista dei contenuti”.

    Patten ha poi incontrato anche alcuni ufficiali dell’esercito del Myanmar, che hanno sostenuto che le violenze di cui si parla sono “esagerate e fabbricate ad arte dalla comunità internazionale”.

    Le violenze contro i rohingya si sono acuite alla fine di agosto del 2017, quando sono scoppiati gli scontri tra le forze di sicurezza birmane e alcuni miliziani del gruppo paramilitare Arakan Rohingya Salvation Army (Arsa), formazione paramilitare vicina alla comunità rohingya.

    Le battaglie hanno causato centinaia di morti nello stato di Rakhine e hanno dato inizio a un esodo che ha portato finora 600mila musulmani rohingya ad attraversare il confine con il Bangladesh.

    Molte organizzazioni non governative hanno denunciato omicidi, stupri e incendi messi in atto contro i musulmani rohingya e i loro villaggi. 

    Amnesty International ha rilevato anche l’utilizzo di mine antiuomo lungo il confine con il Bangladesh, presumibilmente per impedire il rientro dei profughi dal Bangladesh.

    Questi atti, denunciati anche dalle Nazioni Unite, hanno fatto alzare contro la Birmania l’accusa di aver messo in atto una pulizia etnica, ipotesi respinta dalla leader de facto della Birmania, Aung San Suu Kyi. 

    La donna, premio Nobel per la pace nel 1991, è stata accusata a sua volta dalla comunità internazionale di non essere intervenuta per placare la crisi umanitaria e di aver taciuto sulle violenze contro questa minoranza.

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