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    Polonia, il Governo ha vietato l’aborto e ora legalizza la violenza domestica. “Ma noi donne non ci arrendiamo”

    Marta Lempart. Credit: Facebook

    Parla Marta Lempart, leader dello Sciopero delle donne polacche: "Abbiamo creato uno Stato parallelo clandestino di auto-sostegno alle donne"

    Di Alessia Peretti
    Pubblicato il 23 Mar. 2021 alle 12:10

    Polonia, il Governo ha vietato l’aborto e ora legalizza la violenza domestica. “Ma noi donne non ci arrendiamo”

    “È come se avessimo battuto il sistema: c’è il Governo e poi, grazie a noi, c’è uno Stato parallelo di auto-sostegno che ora tutti sanno come raggiungere”. Per anni era stato quasi impossibile per le donne in difficoltà chiedere aiuto, ma ora tutti sanno il numero da contattare: “+48 222 922 597” è scritto dappertutto. Alle fermate dei bus, sui tabelloni pubblicitari di tutte le città, e anche sui manifesti che i politici d’opposizione mettono in bella mostra durante le loro interviste in tv.

    “Il nostro Stato ci vieta l’assistenza sanitaria e la possibilità di abortire, così abbiamo costruito uno Stato parallelo che ci possa fornire questi servizi”, racconta a TPI Marta Lempart, leader della rivoluzione delle donne polacche.

    Ogni anno in Polonia avvenivano circa 1.000 aborti, quasi tutti per malformazione del feto. Da gennaio tutte queste interruzioni di gravidanza sono diventate illegali: ora si può abortire solo in casi di stupro o pericolo di vita per la madre. Alle attiviste di “Ogólnopolski Strajk Kobiet” (Sciopero delle Donne) sono bastati 100 giorni per costruire un network clandestino che ha ridato alle donne il diritto democratico ormai perso.

    Aver reso illegale il 96% degli aborti in Polonia, però, non è bastato al partito di governo di destra, Diritto e Giustizia (PiS). Al contrario, la stretta anti-aborto ha solo accelerato la stretta autoritaria del governo.

    Quando si parla dei diritti delle donne polacche, si parla di Marta Lempart. Con circa 65 processi sulle spalle per il suo ruolo nelle proteste, la fondatrice dello Sciopero delle Donne è considerata una tra le 20 donne più potenti al mondo dal Financial Times.

    Determinata e inarrestabile, nonostante la sconfitta sull’aborto, l’attivista non si arrende: la sua nuova lotta è contro la “legalizzazione della violenza domestica”. Il partito Diritto e Giustizia sta cercando di uscire dalla Convenzione di Istanbul, un accordo a livello europeo per prevenire e combattere la violenza sulle donne [Leggi anche: Quella tentazione europea di abbandonare la Convenzione di Istanbul: i diritti delle donne sul viale del tramonto].

    Ma, “se questo è già allarmante, allora aspetta di sentire qual è il loro vero scopo”, avverte Lempart: la leader della protesta delle donne polacche spiega che ora il Governo di Varsavia punta ad attuare la proposta legge UD279, congelata nel 2018 perché incompatibile con la Convenzione. Questo disegno, modellato su una legge russa del 2017, prevede: l’eliminazione di ogni responsabilità penale in caso di violenza domestica se l’aggressore è al suo primo atto di violenza domestica e l’abolizione del numero d’emergenza statale per le vittime di abusi e della Blue Card, il sistema di registrazione dei casi di violenze.

    “Secondo questa proposta, il primo atto di violenza domestica non è un atto di violenza domestica, è un’infrazione da scontare con una sanzione amministrativa”, spiega Lempart a TPI. “La violenza domestica così diventa solo una multa da pagare”.

    A gennaio 2021 l’aborto per malformazione del feto era stato dichiarato illegale dalla Corte costituzionale, un organo indipendente ma che l’opposizione ritiene illegittimo: per controllarlo il PiS ha infatti imposto come suoi membri due ex deputati che non hanno alcuna qualifica da giudici.

    Secondo Marta Lempart è ovvio che questo sia lo stesso percorso che il partito di governo stia seguendo nuovamente, questa volta però per uscire dalla Convenzione di Istanbul: “Per noi non è neanche più solo una questione di diritti umani, ma anche una questione di indipendenza giudiziaria, perché questo significa che possono usare la Corte costituzionale per fare qualsiasi cosa”.

    È proprio per questo che il 24 febbraio scorso Marta ha fatto un appello all’Europarlamento. Rendendosi per l’ennesima volta portavoce della resistenza polacca, ha chiesto che l’Unione europea non si limiti più a dichiarazioni, “facce tristi e hashtag di supporto sui social”, ma che inizi a battersi per i loro diritti di cittadine europee.

    “È disgustoso” che la Commissione europea faccia finta che questa non sia una questione di legalità e di indipendenza giudiziaria, attacca la leader dello Sciopero delle donne polacche.

    Mettere tutto sul piano dei diritti umani e dell’aborto – la tecnica che secondo Lempart stanno utilizzando a Bruxelles – permette loro di dire che non hanno alcun potere in merito alla questione polacca. Dal momento che la Polonia “sta infrangendo tutte le regole dello stato di diritto e continuerà a farlo, ora con la Convenzione di Istanbul e poi con qualcos’altro”, alla domanda su cosa pretenda dall’Unione europea, la leader polacca risponde concisamente: “Chiediamo che utilizzino la procedura d’infrazione per bloccare i fondi alla Polonia e far crollare il PiS”.

    L’attivista per i diritti delle donne ha provato a chiedere a un funzionario della Commissione europea le ragioni legali per cui l’Ue non avesse ancora utilizzato le procedure di infrazione contro la Polonia (e contro l’Ungheria di Orban). “Dicono che non ci sono le basi legali” spiega Lempart con tono sorpreso. “Hanno paura che ci possa essere un reclamo da parte di questi due Paesi alla Corte europea di Giustizia e una richiesta di sospensione della legge di bilancio. Hanno paura che questa possa andare a buon fine”.

    Tuttavia, Marta e le attiviste dello Sciopero delle Donne continuano a combattere per evitare che la sconfitta sul tema dell’aborto si ripeta e che la violenza domestica venga “legalizzata” dal Governo polacco. La loro marcia non si ferma neanche davanti alle ripetute pressioni da parte dell’esecutivo e delle forze dell’ordine.

    Per mesi la polizia ha portato in tribunale i manifestanti con accuse di reati minori, ma “su 3.000 casi ne ha persi circa il 95%”. Lempart – 65 accuse sulle spalle – tira un sospiro di sollievo: questo significa che “fortunatamente abbiamo ancora un po’ di indipendenza giudiziaria”.

    Un altro segnale di speranza viene anche dal fatto che “il 70% della popolazione polacca supporta lo Sciopero delle Donne” e che tra questi ci sono sempre più ex elettori di PiS, ormai disincantati dalla “finta retorica anti-establishment” del partito.

    “Ora la polizia si sta spostando dalle infrazioni minori alle accuse penali, questo è il loro nuovo schema per cercare di spaventarci”, racconta ancora Lempart, recentemente incriminata per tre accuse che potrebbero costarle fino a otto anni di prigione. “Ma andremo in tribunale, vinceremo e continueremo la nostra lotta”.

    Leggi anche: Parlano le donne che vogliono cambiare la Polonia: “La nostra rivoluzione contro il patriarcato”

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