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    Dopo un anno di presidenza Biden la rotta migratoria Messico-Usa è ancora un inferno: la denuncia di Msf

    Credits: MSF
    Di Marta Vigneri
    Pubblicato il 20 Gen. 2022 alle 18:48 Aggiornato il 21 Gen. 2022 alle 07:47

    Per fare un bilancio del primo anno di presidenza di Joe Biden bisogna guardare anche alle sponde del Rio Grande, al confine tra Messico e Texas, dove centinaia di migliaia di migranti provenienti dal sud America e dall’America Centrale vedono il loro sogno di raggiungere gli Stati Uniti svanire aldilà del fiume, in un limbo di violenza e sfruttamento. Disastri climatici, livelli di violenza altissimi e la crisi economica portata dalla pandemia da Covid-19 hanno spinto sempre più persone a partire nella speranza di trovare meccanismi più umani di accoglienza, ma alla frontiera hanno trovato i respingimenti.

    Le promesse dell’ex senatore – che si è insediato il 20 gennaio 2021 – di gestire i flussi migratori in modo diverso dal suo predecessore sono state del tutto disattese, le politiche disumane del governo Trump rimaste in piedi. Come denuncia Medici Senza Frontiere (Msf), che dal 2012 fornisce cure mediche e assistenza psicologica lungo la rotta migratoria e testimonia gli effetti delle scelte del governo sulla popolazione. “Deportazioni di massa e politiche di asilo fallimentari continuano a mettere a rischio decine di migliaia di migranti. Nella città di Reynosa, al confine con il Texas, nel campo di Plaza de la Republica ci sono 18 bagni pubblici disponibili, circa uno per ogni 110 persone”, spiega la Ong. “A Reynosa quasi 2.700 persone sono accampate perché non sanno dove dormire. Cercano ogni giorno di passare la frontiera e molte volte sono deportati in Messico o verso i Paesi di origine”, racconta Silvia Dallatomasina, responsabile delle operazioni di Msf in Messico e America Centrale.

    Migranti accampati a Plaza de la Republica, nella città di Reynosa, in Messico. Credits: MSF/Esteban Montaño

    I migranti aspettano in Messico di presentare domanda di asilo negli Usa per effetto del Migrant protection protocols (Mpp), la cosiddetta politica del “Restate a casa”, programma bandiera del governo repubblicano che prevede che le persone intenzionate a fare ingresso nel Paese restino sul lato messicano in attesa che la procedura burocratica sia completata. Nei primi 100 giorni del suo mandato Biden aveva dismesso il protocollo, ma a dicembre scorso è stato ripristinato. Il Titolo 42 invece, l’altra politica anti-migranti con cui Trump ha vietato tutti i viaggi “non essenziali” per limitare i rischi di contagio durante la pandemia, utilizzato dalla polizia di frontiera come copertura legale per fare espulsioni sommarie, non è stato mai messo in discussione. Con il risultato che oggi le procedure risultano più severe, perché i respingimenti non riguardano solo i migranti del cosiddetto “triangolo nord” (Guatemala, Honduras, El Salvador) ma anche le altre popolazioni più vulnerabili, come gli haitiani, “che prima erano soggetti a protocollo di protezione temporanea ma ora sono deportati come tutti”, spiega Dallatomasina.

    La crisi di Haiti

    Proprio Haiti è uno dei Paesi da cui il flusso di migranti che si mette in cammino verso l’America del nord è aumentato nell’ultimo anno, e non solo per via delle aspettative create dall’arrivo dei dem alla Casa Bianca. “Durante la pandemia – continua l’operatrice umanitaria – molte frontiere sono state chiuse, per esempio quella tra America del sud e Panama, per cui c’è stata meno possibilità di spostarsi”. L’epidemia di Coronavirus ha portato una crisi economica forte, e gran parte dei migranti che si trovano in America del sud hanno perso gli strumenti che permettevano loro di vivere e lavorare nei Paesi dove non è necessario presentare il visto, come il Brasile e il Cile.

    La perdita del lavoro informale ha spinto migliaia di persone a intraprendere la rotta dell’America Centrale, la più grande e trafficata del mondo per quanto riguarda la migrazione forzata, sia dall’America del sud che dai Paesi del triangolo del nord. Le partenze sono aumentate talmente tanto che quasi 100mila haitiani, orfani del presidente Jovenel Moïse assassinato a luglio scorso e colpiti dal terremoto che ha devastato la penisola solo un mese dopo, hanno attraversato la frontiera tra Colombia e Panama nell’ultimo anno. “Ma anche 18mila cubani e almeno 15mila minori non accompagnati di diverse nazionalità, compreso il Pakistan, il Burkina Faso e altri Paesi dell’Africa e del Medio Oriente”, aggiunge Dallatommasina.

    La rotta infernale

    La rotta infernale che parte ormai anche dai Paesi dell’America del sud passa per la foresta del Darién, che separa Colombia e Panama, in cui i migranti camminano a piedi nudi per giorni in balia dei narcotrafficanti, abusati sessualmente da bande criminali. “A Panama quest’anno abbiamo assistito quasi 350 persone vittime di violenza, sia fisica che psicologica. Un fattore grave se si considera che è solo l’inizio di un cammino infernale, perché dopo Panama ci sono gli altri Paesi dell’America centrale, dove sappiamo che la violenza è molto forte. La criminalità organizzata si approfitta di queste persone, tra cui decine di migliaia di minori, quasi sempre derubati dei propri averi”, racconta Dallatomasina. “A dicembre una carovana di migranti in Chapas del nord si è ribaltata, ci sono stati 60 morti e 100 feriti – continua – Ma si sono verificati anche episodi di assassini di massa: a metà del 2021 è stata scoperta una fossa comune di migranti guatemaltechi”. Questo è solo un esempio della violenza estrema a cui è sottoposta la popolazione lungo il cammino, dove non ha accesso a meccanismi di protezione. Msf solo nell’ultimo anno ha offerto 16mila prestazioni mediche, di cui 8mila per salute mentale, attraverso i centri di assistenza che percorrono la rotta da Panama fino al nord del Messico.

    Andata e ritorno

    I sopravvissuti al viaggio della morte che riescono ad arrivare in Messico restano bloccati al confine, e non hanno metodi efficaci di presentare domanda d’asilo, salvo pagare i trafficanti nella speranza di non essere respinti una volta attraversata la frontiera. Eppure il destino che attende la maggior parte di loro è proprio quello di essere riportati a casa. Le cifre dell’autorità di frontiera parlano chiaro: quasi un milione di persone sono state espulse dagli Stati Uniti tra febbraio e dicembre del 2021, e cioè durante il mandato di Joe Biden. Nel corso dell’anno i voli di deportazione sono aumentati del 5 per cento rispetto al 2020, verso 19 differenti Paesi di origine, dove però la situazione che ha spinto le persone a fuggire, nel frattempo, non è cambiata. Con l’aggravante che i migranti, al ritorno, non hanno più nulla. Le risorse sono state spese, sottratte dalle bande criminali o trasferite ai trafficanti con l’auspicio di riuscire a ottenere l’asilo. Quello che si riporta a casa però è solo il ricordo dei piedi scalzi sull’asfalto o nella foresta, l’insicurezza del cammino, la violenza. E quel viaggio infernale termina dove è iniziato, nel punto di partenza.

    Missione fallita

    Durante il primo anno di presidenza nemmeno la missione affidata alla vice-presidente Kamala Harris di supervisionare gli sforzi diplomatici con i Paesi del triangolo del nord per mitigare le cause della migrazione irregolare ha ridotto il volume dei flussi: gli accordi bilaterali con Guatemala, Messico e Honduras hanno portato solo a un massiccio schieramento di forze dell’ordine lungo i tre confini. Per aiutare la popolazione, però, serve altro. “Servono programmi in tema di accesso alla salute e serve ridurre il livello di violenza”, osserva Dallatomassina. “In Honduras le periferie sono in balia delle bande criminali. Nessuno risolve questi problemi da solo”.

    Il discorso in cui Harris, nel viaggio condotto in Guatemala a luglio del 2021, aveva invitato i migranti a “non venire negli Stati Uniti” è stato altrettanto inefficace, perché le persone si mettono in viaggio comunque. Per poi scoprire che nonostante il cambio di presidenza migrare non è ancora considerato un diritto: si cammina a piedi scalzi e non ci sono vie legali per fare domanda di asilo. “Medici Senza Frontiere esorta il governo Usa a mantenere le promesse fatte e a gestire la questione migratoria in modo più umano – conclude Dallatomasina – proteggendo la vita e la salute delle persone che fuggono dal loro Paese”.

     

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