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    Migranti: il corpo di una donna abbracciata al suo bambino trovato in fondo al mare

    Le ricerche dei superstiti del naufragio avvenuto a largo di Tripoli, il 25 aprile 2022. Credit: Khaled Habashiti/Xinhua via ZUMA Press
    Di Marco Nepi
    Pubblicato il 2 Set. 2022 alle 20:57 Aggiornato il 2 Set. 2022 alle 21:00

    Migranti: il corpo di una donna abbracciata al suo bambino trovato in fondo al mare

    Più di 30 corpi annegati in circostanze misteriose, destinati a rimanere in fondo al mare. Un caso che probabilmente rimarrà irrisolto quello dell’incidente avvenuto al largo del Libano lo scorso aprile, quando un barcone su cui si trovavano circa 80 migranti si è scontrato con un’imbarcazione della marina libanese. Ieri la squadra che voleva far luce sull’accaduto, tentando di recuperare i corpi delle vittime, ha infatti rinunciato alla missione a seguito di una comunicazione della stessa marina libanese.

    Dopo essere stata informata dell’impossibilità di continuare per non meglio precisati “rischi di sicurezza”, l’ong australiana AusRelief e il suo sommergibile hanno lasciato le acque del Libano.

    Prima di porre fine alla missione, la squadra guidata da Tom Zreika era riuscita a portare in superficie  i resti di alcune persone, che si erano però disfatti sotto gli occhi dei soccorritori. Tra i resti individuati dalla missione, quelli di una donna e del suo bambino, stretti in un abbraccio che ha commosso la squadra di AusRelief. “C’era una donna laggiù, il cui corpo è rimasto incastrato a metà fuori da un oblò, mentre teneva suo figlio. Quello ha spezzato il cuore a tutti”, ha raccontato a Reuters Zreika, a sua volta fuggito dal Libano con la madre negli anni ’70. “Mi ha ricordato come mi avrebbe tenuto mia madre”, ha aggiunto.

    Dopo il naufragio, avvenuto il 24 aprile scorso, alcuni superstiti avevano accusato i militari libanesi di aver speronato appositamente la nave. Un’accusa smentita dalla marina, anche se le circostanze in cui è avvenuto l’incidente restano ancora da chiarire. Gli avvocati dei familiari delle vittime hanno chiesto che venga aperta un’inchiesta internazionale.

    L’operazione di recupero, iniziata negli scorsi giorni, è dovuta a un’iniziativa privata, anche se si si stava svolgendo sotto il coordinamento formale della marina militare libanese. La missione è infatti nata con una raccolta fondi sostenuta da una rete di familiari delle vittime, residenti perlopiù in Australia. Sull’imbarcazione, partita da un villaggio vicino alla città libanese di Tripoli, erano presenti circa 80 persone di cittadinanza libanese, siriana e palestinese. Solo 40 sono stati salvati.

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