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    Hong Kong è un caso internazionale: Usa e Regno Unito si muovono contro la Cina

    Credits: EPA/JEROME FAVRE

    Dopo l'approvazione della nuova legge sulla sicurezza nazionale, imposta da Pechino, centinaia di arresti per le proteste di piazza. Stati Uniti e Londra annunciano ritorsioni

    Di Carmelo Leo
    Pubblicato il 2 Lug. 2020 alle 10:37 Aggiornato il 2 Lug. 2020 alle 11:34

    Hong Kong, nuovi arresti per le proteste contro la nuova legge sulla sicurezza

    Non si ferma la stretta della Cina su Hong Kong: nel primo giorno di entrata in vigore della nuova legge sulla sicurezza nazionale sono stati 370 gli arresti per le proteste organizzate dai cittadini che chiedono minori ingerenze da parte di Pechino sulla vita della regione autonoma. Al momento, però, le manifestazioni di piazza rimangono inascoltate. E non provocano nessun effetto sul Dragone neanche le minacce di ritorsioni da parte della comunità internazionale. Dall’Unione europea, che si è limitata a un appello per la tutela delle libertà fondamentali dei cittadini di Hong Kong, a Usa Regno Unito, che invece hanno manifestato l’intenzione di dare asilo politico agli attivisti perseguitati in seguito alla nuova legge sulla sicurezza nazionale.

    Il primo bilancio delle proteste

    Nel primo giorno di manifestazioni contro la nuova legge – che si intersecavano con i festeggiamenti per l’anniversario della restituzione dell’ex colonia britannica alla Cina nel 1997 – la polizia ha arrestato in tutto 370 persone. Dieci tra queste (sei uomini e quattro donne) sono stati fermati per reati punibili dalla nuova legge. Nel corso della giornata ci sono stati diversi scontri tra manifestanti e polizia, con gli agenti costretti più volte all’utilizzo di spray urticanti, proiettili di gomma, cannoni ad acqua, sostanze chimiche e gas lacrimogeni per disperdere la folla. Sono 7 i poliziotti rimasti feriti.

    La mossa del Regno Unito

    Stamattina il ministero degli Esteri britannico ha convocato l’ambasciatore cinese a Londra, Liu Xioaming, per manifestargli l’insoddisfazione per la legge sulla sicurezza nazionale ad Hong Kong. Londra ha sottolineato che la legge è una “grave violazione” dell’autonomia dell’ex colonia britannica, garantita da un accordo del 1997, anno del ritorno alla Cina, e quindi una chiara e “grave violazione della dichiarazione congiunta” sottoscritta dal Regno Unito e dalla Cina.

    Ma non è questa l’unica mossa del Regno Unito: ieri il premier britannico, Boris Johnson, ha confermato che faciliterà l’accesso alla cittadinanza ai residenti di Hong Kong che godono di uno speciale status. Quale? Essere nati prima del 1997,  quando l’ex colonia tornò alla Cina, ed essere in possesso del passaporto Bno (British National Overseas). Si tratta di circa 3 milioni di cittadini della regione autonoma. Dopo questa offerta, però, la Cina si è fatta sentire minacciando ritorsioni: “Se il Regno Unito farà cambiamenti unilaterali alla pratica in questione”, ha sottolineato un portavoce dell’ambasciata cinese a Londra, “violerà la sua posizione e i suoi impegni, la legge internazionale e le norme di base che guidano le relazioni internazionali. Ci opponiamo fermamente e ci riserviamo il diritto di prendere contromisure corrispondenti. Sollecitiamo il Regno Unito a guardare obiettivamente e in maniera equa alla legislazione sulla sicurezza nazionale a Hong Kong, a rispettare la posizione e le preoccupazioni della Cina, e astenersi dalle interferenze negli affari di Hong Kong in ogni modo”.

    Anche gli Usa si muovono contro la nuova legge di Hong Kong

    Negli Stati Uniti, i rappresentanti repubblicani e democratici del Congresso hanno presentato una legge bipartisan che riconosce lo status di rifugiati ai residenti di Hong Kong a “rischio di persecuzione politica da parte della Cina”. La legge affida al dipartimento di Stato il compito di individuare i possibili rifugiati politici per “motivi umanitari speciali” ai quali potrà essere riconosciuto il diritto alla “carta verde”, che garantisce di poter vivere per sempre negli Stati Uniti, e addirittura la cittadinanza americana. Tra i possibili beneficiari del provvedimento, coloro che hanno organizzato le proteste nel 2019 contro l’ingerenza di Pechino, giornalisti e attivisti delle organizzazioni per i diritti civili. “Con questo atto – ha spiegato il repubblicano Marco Rubio, tra i firmatari del provvedimento – vogliamo dire a Pechino che noi stiamo dalla parte di Hong Kong e dei suoi residenti”.

    La Camera di Washington ha inoltre approvato nuove sanzioni alla Cina, che dovranno ricevere adesso anche il “sì” del Senato. Le sanzioni colpiranno i gruppi che hanno minato l’autonomia della città e limitato le libertà promesse agli abitanti. Tra questi le unità di polizia che hanno attuato la repressione sui manifestanti, i funzionari del partito comunista cinese responsabili dell’imposizione della legge. La speaker della Camera, la democratica Nancy Pelosi, ha definito il voto unanime “una risposta necessaria e urgente alla codarda approvazione da parte del governo cinese della cosiddetta legge sulla ‘sicurezza nazionale’, che minaccia lo status ‘un Paese, due sistemi’ promesso esattamente 23 anni fa”. Pelosi ha aggiunto: “Tutti i popoli che amano la libertà devono condannare questa orrenda legge” imposta dalla Cina, mirata a “smantellare le libertà democratiche a Hong Kong”.

    L’appello dell’Unione europea

    Anche l’Unione europea si è schierata contro la nuova legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong, tramite le parole dell’Alto rappresentante Josep Borrell: “L’Ue ritiene essenziale che i diritti e le libertà esistenti dei residenti di Hong Kong siano pienamente tutelati”, attribuisce “grande importanza al mantenimento dell’alto grado di autonomia di Hong Kong, in linea con la Legge fondamentale e con gli impegni internazionali, nonché al rispetto di questo principio” e ribadisce le sue “gravi preoccupazioni per la nuova legge”. L’Unione europea, ha concluso Borrell, sta “valutando le implicazioni di tale legge e continuerà a sollevare preoccupazioni nel suo dialogo con la Cina. Continuerà a seguire da vicino gli sviluppi, anche nel contesto delle imminenti elezioni del Consiglio legislativo del 6 settembre, che devono procedere come previsto e in un ambiente favorevole all’esercizio dei diritti e delle libertà democratici sanciti dalla Legge fondamentale”.

    Salvini: “Italia prenda posizione contro regime cinese”

    In Italia, il leader della Lega Matteo Salvini ha parlato della nuova legge in vigore a Hong Kong: “Leggi liberticide, centinaia di arresti, violenze, persecuzione delle idee, morte: dopo il virus che ha infettato il mondo, il regime comunista cinese conferma il proprio volto spaventoso con la repressione di Hong Kong. Il governo italiano ha il dovere di prendere una posizione chiara e inequivocabile. L’Iran che minaccia Israele, il Venezuela che affama e tortura, la Cina che contagia, massacra e aggredisce Paesi e ricchezze: troppi silenzi, troppi errori, troppa paura. Cosa c’è sotto? Solo incapacità e pavidità o anche altro? L’Italia deve rialzare la testa”.

    Cosa prevede la nuova legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong

    La nuova norma, di fatto, rende un reato qualsiasi tentativo di minare l’autorità della Cina. Una formulazione volutamente vaga, che non fa altro che allargare la sfera di influenza della polizia e aumentare il numero di fattispecie considerabili reati. Inoltre, prevede che Pechino inserisca nelle istituzioni delle città della regione autonoma alcune agenzie e alcuni funzionari, con ampi poteri di controllo e intervento. Secondo gli analisti, però, la nuova legge sulla sicurezza nazionale potrebbe diventare uno strumento per limitare le libertà politiche e sociali della regione autonoma e per silenziare il dissenso del popolo di Hong Kong. Le pene previste dalla legge per sovversione, sedizione o terrorismo vanno dai tre anni all’ergastolo.

    “Per quella piccola minoranza che mette a rischio la sicurezza nazionale, questa legge sarà una spada che incombe sulle loro teste“, ha sottolineato Luo Huining, direttore dell’Ufficio di collegamento del governo centrale cinese a Hong Kong.

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