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    Elezioni parlamentari in Iran: in gioco c’è anche l’accordo sul nucleare

    Cartelli elettorali a Teheran (Credits: Rouzbeh Fouladi/ZUMA Wire)

    Elezioni importantissime in Iran dopo l'uccisione del generale Soleimani: conservatori e ultraconservatori verso una larga vittoria, anche grazie all'esclusione di migliaia di candidati riformisti e moderati

    Di Carmelo Leo
    Pubblicato il 21 Feb. 2020 alle 07:17 Aggiornato il 21 Feb. 2020 alle 16:36

    Elezioni parlamentari Iran: info e candidati sul voto del 21 febbraio

    Oggi, venerdì 21 febbraio 2020, circa 60 milioni di elettori si recano alle urne per le elezioni parlamentari in Iran: si vota per rinnovare i 290 seggi del Parlamento il Majlis. Dei 290 parlamentari, 285 sono eletti direttamente, mentre gli altri 5 seggi sono riservati a minoranze etniche e religiose.

    Secondo gli analisti, è un appuntamento elettorale importantissimo per almeno due ragioni: la prima è che si tratta del primo voto dopo l’uccisione del generale Qassem Soleimani, morto a Baghdad in un raid americano nella notte tra il 2 e il 3 gennaio; la seconda è che stavolta – più palesemente che mai – molti candidati riformisti sono stati esclusi dalle liste elettorali per i motivi più disparati, rendendo di fatto scontato l’esito della consultazione.

    In un giorno così importante per il futuro del Paese, l’Iran deve affrontare anche l’emergenza Coronavirus: negli ultimi giorni, infatti, sono stati registrati 18 casi accertati di contagio, con quattro decessi. Ma i numeri potrebbero essere molto più alti. Si parla di 750 casi sospetti di Covid-19 e soprattutto del pericolo che l’epidemia “si sia già diffusa in tutte le città dell’Iran”, come sottolineato dal Comitato nazionale per le malattie infettive del ministero della Salute.

    Nel 2016 si votò subito dopo l’accordo sul nucleare firmato con i Paesi occidentali, in un clima di grande entusiasmo che portò alla vittoria di un blocco di riformisti, centristi e conservatori moderati (41 per cento) sui conservatori (23 per cento). Questa volta, però, la situazione è opposta. Anche a causa della rigida selezione dei candidati, l’esito delle elezioni parlamentari in Iran appare scontato, con conservatori e ultraconservatori proiettati verso una larga vittoria.

    A spaventare però i conservatori – sostenuti apertamente dall’ayatollah Ali Khamenei e che puntano a riprendere il controllo del Parlamento per ottenere la fine dell’accordo sul nucleare – è il possibile alto tasso di astensionismo. Da un lato perché il popolo sta vivendo una fase di crescente malcontento per le tensioni con l’Occidente e le difficili condizioni economiche del Paese. Dall’altro perché, vista la vittoria quasi certa dei conservatori, i riformisti stanno pensando di non recarsi alle urne e scegliere quindi la strada del boicottaggio di un voto considerato pilotato. Un modo, quest’ultimo, per dare un segnale di sfiducia al regime, a un anno dalle elezioni presidenziali del 2021.

    Come funziona il voto in Iran

    Le elezioni parlamentari del 21 febbraio sono le undicesime nella storia della Repubblica islamica dell’Iran. Il Parlamento di Teheran è monocamerale, detiene il potere legislativo, ma non è l’istituzione più importante nel Paese: bisogna ricordare infatti che l’Iran è una repubblica islamica, presidenziale e teocratica.

    Ciò significa che il Parlamento e il presidente sono eletti dal popolo, mentre esistono alcuni organi religiosi con il compito di controllare l’operato delle istituzioni in base alla loro fedeltà al Corano e ai principi dell’Islam. Hanno dunque maggiore influenza del Parlamento la Guida suprema (l’ayatollah Khamenei) – che ha potere di veto e di indirizzo sull’assemblea legislativa e sul presidente – e lo stesso presidente (al momento, Hassan Rouhani).

    Elezioni in Iran, esclusi migliaia di candidati progressisti

    Come già anticipato, nel corso della campagna elettorale – andata avanti fino al 19 febbraio – si sono sollevate moltissime polemiche contro il Consiglio dei guardiani, l’organo che esercita un forte controllo sull’ammissione dei candidati alle elezioni in Iran.

    Il Consiglio, composto da 12 membri (sei religiosi, nominati direttamente dalla Guida suprema, e sei giuristi, nominati indirettamente dallo stesso Khamenei), è un’istituzione fortemente vicina ai conservatori. E da sempre gestisce in modo poco imparziale il complesso meccanismo di ammissione dei candidati.

    In vista delle elezioni parlamentari di quest’anno, su 14mila candidati ne sono stati esclusi 6.850. Tra le motivazioni addotte dal Consiglio, ci sono accuse di frode o appropriazione indebita. Altri candidati, invece, sono stati accusati di non essere abbastanza fedeli alla Repubblica islamica o ancora peggio di non essere sufficientemente praticanti della religione musulmana.

    Sono migliaia i candidati riformisti esclusi dalle elezioni in Iran di oggi: in diverse città non sono rimasti addirittura rappresentanti di peso per il partito, che anche per questo va incontro a un possibile flop. Ecco perché molti elettori, rassegnati, potrebbero persino non recarsi alle urne, provocando così il crollo dell’affluenza. Sono stati esclusi dalla tornata anche una ottantina di deputati dell’attuale legislatura.

    Le previsioni

    Per tutti i fenomeni appena analizzati, una vittoria dei conservatori e degli ultraconservatori appare sicura. Bisogna adesso vedere con quale margine i partiti appoggiati dalla Guida suprema supereranno gli avversari riformisti e moderati, che nell’attuale legislatura avevano la maggioranza relativa con 137 seggi.

    Con una vittoria dei conservatori, anche il Parlamento finirebbe dunque sotto l’influenza di Khamenei. E il primo risultato sarebbe una netta virata sull’accordo sul nucleare e in generale nei rapporti diplomatici con gli Stati Uniti. Il presidente Rouhani, a capo dei moderati, in campagna elettorale è stato accusato di essersi fidato troppo degli Usa, che alla fine sono usciti unilateralmente dall’accordo sul nucleare e hanno poi ucciso il generale Soleimani, punto di riferimento di tutto l’Iran.

    “Se il sistema sostituisce le elezioni con le nomine – ha replicato il presidente – e le elezioni diventano solo una formalità, sarà il pericolo più grande per la democrazia e la sovranità nazionale”. Il suo consenso, in vista delle presidenziali dell’anno prossimo, rimane comunque in caduta libera.

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