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    La Cina minaccia Taiwan: “Distruggeremo ogni forma di indipendenza”

    Credit: ANSA/AP Photo/Andy Wong
    Di Andrea Lanzetta
    Pubblicato il 1 Lug. 2021 alle 11:37 Aggiornato il 1 Lug. 2021 alle 11:48

    Il presidente cinese, Xi Jinping, ha promesso di completare la “riunificazione” di Taiwan alla Cina e di “distruggere” ogni tentativo di indipendenza formale dell’isola dalla madrepatria, suscitando la grave reazione del governo di Taipei, che ha criticato aspramente il Partito comunista definendo il regime di Pechino una “dittatura“, e rischiando la reazione degli Stati Uniti, tenuti per legge a intervenire in caso di attacco cinese.

    “Risolvere la questione di Taiwan e realizzare la completa riunificazione della madrepatria sono i compiti storici incrollabili del Partito comunista cinese e l’aspirazione comune di tutto il popolo della Cina“, ha dichiarato oggi Xi davanti alle 70mila persone riunite a Piazza Tienanmen durante il discorso pronunciato in occasione del centesimo anniversario della fondazione del Partito.

    Pechino considera l’isola come un proprio territorio “ribelle” e, dall’ascesa al potere dell’attuale presidente cinese, ha intensificato gli sforzi per riportare Taipei sotto il proprio controllo, rivendicando più volte la sovranità, l’unicità e l’unità della Cina e impegnandosi in una serie di provocazioni con vari sconfinamenti di velivoli militari nello spazio aereo taiwanese, che hanno provocato la reazione degli Stati Uniti.

    Washington è tenuta a difendere l’isola in caso di aggressione cinese da una legge approvata negli anni Settanta dal Congresso. Anche la nuova presidenza targata Joe Biden ha confermato la linea assunta dalla Casa bianca sotto tutte le amministrazioni precedenti, democratiche e repubblicane, sebbene al Pentagono temano che il riarmo cinese renda molto complicato, se non impossibile, impedire un’invasione di Taiwan.

    “L’epoca in cui la Cina poteva essere intimidita o vittima di abusi è finita per sempre”, ha ribadito Xi Jinping nel proprio discorso, sottolineando che il popolo cinese “non permetterà mai che forze straniere lo intimidiscano, lo opprimano o lo sottomettano”.

    Il presidente cinese ha comunque voluto temperare le proprie parole, lanciando un appello alla collaborazione: “Tutti i figli e le figlie della Cina, compresi i compatrioti residenti su entrambi i versanti dello Stretto di Taiwan, devono lavorare insieme e andare avanti in solidarietà, distruggendo con fermezza qualsiasi congiura volta all’indipendenza di Taiwan“.

    Per tutta risposta però, il Consiglio di Taiwan per gli affari della Cina continentale ha sottolineato come, mentre il Partito comunista cinese ha raggiunto “un certo sviluppo economico”, è rimasto una dittatura che calpesta la libertà delle persone.

    “Gli storici errori e le persistenti azioni dannose (del Pcc – ndr) costituiscono una grave minaccia alla sicurezza regionale”, si legge in una nota del Consiglio taiwanese, che ha invitato il Partito comunista cinese ad “abbracciare la democrazia”. Il popolo di Taiwan, prosegue il comunicato, ha rifiutato il “principio di una Cina unica” – secondo cui l’isola è parte integrante del territorio nazionale cinese – e Pechino dovrebbe abbandonare ogni forma di intimidazione militare e dialogare alla pari con Taipei.

    Sebbene la Cina non abbia mai rinunciato all’uso della forza per riprendere il controllo di Taiwan, Xi ha chiesto un processo di “riunificazione pacifica” dell’isola alla madrepatria. Al contempo, il presidente cinese ha affermato che nessuno dovrebbe “sottovalutare la forte determinazione, la ferma volontà e la formidabile capacità del popolo di difendere la sovranità nazionale e l’integrità territoriale” del Paese. “La determinazione del nostro governo a difendere fermamente la sovranità della nazione e la democrazia e la libertà di Taiwan e di mantenere la pace e la stabilità attraverso lo Stretto resta invariata”, hanno risposto da Taipei.

    Il governo della Repubblica di Cina, guidato con posizioni parafasciste dal partito nazionalista Guomindang del generalissimo Chiang Kai-shek, fuggì a Taiwan nel 1949 dopo aver perso la guerra civile contro il Partito comunista cinese di Mao Zedong. Sull’isola fu così instaurato un governo autoritario che mirava alla riunificazione cinese e alla riconquista del potere a Pechino.

    Solo dopo alcuni anni dalla morte del leader, alla metà degli anni Ottanta, il figlio di Chiang Kai-shek, Chiang Ching-kuo, avviò una serie di riforme liberali. Dopo la sua scomparsa e la fine della Guerra fredda, il processo di apertura del governo di Taipei proseguirà fino agli anni 2000 quando sull’isola si insedierà un sistema simile alle democrazie occidentali.

    Il governo di Taiwan, ufficialmente non più dedito alla riunificazione con Pechino, afferma che solo la popolazione dell’isola può decidere il proprio futuro, rifiutando ogni pressione e ingerenza sul tema da parte della Cina. Pechino teme però che l’attuale presidente taiwanese, Tsai Ing-wen, sia tentata dal separatismo e decisa a dichiarare l’indipendenza dell’isola, avendo dichiarato che Taiwan è già di fatto un Paese indipendente conosciuto come Repubblica di Cina, suo nome ufficiale.

    Le dichiarazioni di oggi di Xi Jinping, che ha sapientemente aperto al dialogo senza escludere il ricorso alla forza, potrebbe essere l’ennesimo segnale di un’accelerazione da parte di Pechino nella presa di Taipei. Come già accaduto per l’aumento della repressione a Hong Kong – dove oggi ricorre il 24esimo anniversario della riunificazione alla Cina e il primo dall’approvazione della Legge sulla sicurezza nazionale – in caso di escalation, l’Occidente probabilmente non potrebbe andare oltre la condanna a parole, le sanzioni economiche e l’invito al negoziato.

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