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    Cos’è Al Shabaab, il gruppo jihadista responsabile del rapimento di Silvia Romano

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 9 Mag. 2020 alle 19:35

    Silvia Romano è libera. La giovane cooperante della onlus ‘Africa Milele’ era stata rapita il 20 novembre del 2018 in Kenya, nel villaggio di Chakama, a 80 chilometri da Malindi. Secondo quanto ricostruito dalla Procura di Roma e dai carabinieri del Ros, era tenuta prigioniera in Somalia da uomini vicini al gruppo jihadista Al-Shabaab, l’organizzazione somala affiliata ad Al Qaeda e considerata “ostaggio politico”. L’operazione dell’Aise (i servizi segreti italiani per l’estero), diretta dal generale Luciano Carta, che ha portato alla liberazione di Silvia Romano è stata condotta con la collaborazione dei servizi turchi e somali ed è scattata la scorsa notte. La volontaria si trova ora in sicurezza nel compound dell’Onu a Mogadiscio, capitale della Somalia.

    Ma cos’è Al-Shabaab? Al-Shabaab (che in somalo significa “i ragazzi”) è un gruppo terroristico che si ispira al jihadismo salafita ed è nato intorno al 2006 dalla sconfitta dell’Unione delle Corti Islamiche a opera del Governo federale di transizione e dei suoi sostenitori (in primo luogo, l’Etiopia).

    Il gruppo è emerso dal caos della guerra civile, scoppiata nel 1991. Ha cominciato ad affermarsi nel 2006 come ala radicale dell’Unione delle corti islamiche. Nel corso di quell’anno l’Unione, che s’ispirava ai taliban afgani, ha controllato per sei mesi la capitale Mogadiscio, prima di essere cacciata dall’Etiopia, intervenuta militarmente a dicembre per sostenere il governo provvisorio somalo ed eliminare la minaccia estremista islamica.

    Negli anni successivi Al Shabaab ha attirato miliziani da tutta la Somalia e dai paesi vicini per combattere contro le truppe straniere presenti nel paese. Il gruppo promuoveva il nazionalismo somalo, il jihad globale e voleva imporre uno stato islamico fondato sulla sharia. Professa un islam rigorista, mentre la maggior parte dei somali aderisce a una versione di questa religione più aperta e tollerante. Attualmente si stima che i combattenti di Al Shabaab siano tra i 7mila e i 9mila.

    Pur aderendo dal 2012 al network di al-Qaeda, al-Shabaab ha sempre avuto una doppia anima: una più radicale, sostenuta da esponenti wahabiti legati con i Paesi del Golfo, e un’altra più somala, con capi clan e leader religiosi intenzionati a dar vita un proprio Emirato nel Corno d’Africa. Lo stesso Al Zawahiri aveva preteso di discutere la forma di affiliazione con Abdi aw-Mohamed, alias Godane, storico leader di al Shabaab, proprio per tenere sotto controllo le spinte nazionalistiche del gruppo somalo.

    Come spiega l’ISPI, “negli ultimi anni, al-Shabaab si è però trovata un pericoloso concorrente in casa. Guidate da Abdulqadr Mumin, ex predicatore in Gran Bretagna e Svezia, hanno preso vita alcune cellule legate allo Stato islamico. Per il momento hanno piccole dimensioni, ma si sono dimostrate capaci di unire i clan e i sub-clan più piccoli e da sempre esclusi dalla politica somala. Di esse fanno parte, oltre agli ex militanti di al Shabaab delusi, anche miliziani stranieri provenienti dal Medio Oriente dopo la sconfitta dell’Isis in Iraq, Libia e Siria. La presenza dei miliziani di al-Baghdadi desta preoccupazione perché in un video reso pubblico a dicembre i jihadisti invitano a «dare la caccia» ai non credenti e ad attaccare le chiese e i mercati. Gli Usa hanno lanciato raid con droni partiti dalle basi in Etiopia, contro gli affiliati dell’Isis facendo numerose vittime”.

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