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Morto Paolo Fabbri, semiologo e amico di Umberto Eco

Di Antonio Scali
Pubblicato il 3 Giu. 2020 alle 09:53

Morto Paolo Fabbri, il grande semiologo aveva 81 anni

È morto ieri, 2 giugno 2020, a 81 anni Paolo Fabbri, semiologo tra i più importanti e raffinati, un vero e proprio pioniere della disciplina insieme al suo amico Umberto Eco. Intellettuale fine e raffinato, aveva reso la semiotica un’importante disciplina universitaria. Nato a Rimini nel 1939, nei primi anni Sessanta fu allievo a Parigi di Algiridas Julien Greimas, poi insegnò a Firenze, Urbino e Palermo, e soprattutto a Bologna, università in cui fu presidente del corso di laurea del Dams di Bologna tra il 1997 e il 2000, oltre ad aver tenuto i corsi di Semiotica e Semiotica dell’arte dal 1990 al 2003.

Non amava molto scrivere libri e pubblicazioni, perché a suo dire “il professore è orale”. I suoi studenti, nonostante le asperità della materia, lo amavano molto. Con Umberto Eco (che nel Nome della Rosa lo trasformerà nel personaggio di Paolo da Rimini) tenne corsi all’università di Firenze, alla facoltà di Architettura. Ad Urbino fondò con Carlo Bo e Giuseppe Paioni nel 1970 il Centro Internazionale di Semiotica e di Linguistica, tra le prime scuole di semiotica europee. Paolo Fabbri è stato docente in molte università estere, dalla Sorbona alla UC Berkeley, alla UCLA di Los Angeles. Ha diretto numerose collane editoriali; tra i suoi libri ricordiamo La svolta semiotica (Laterza), L’Efficacia semiotica (Mimesis, 2017); Vedere ad arte. Iconico e icastico (Mimesis, 2020). Nel 2019 è uscito per Marietti, Sul racconto. Una conversazione inedita con Paolo Fabbri di Roland Barthes.

In una recente intervista, Fabbri aveva confessato: “Non ho mai voluto trasferirmi stabilmente. E ho insegnato sempre Semiotica, la ‘solita roba’! Io sono del segno dell’ ‘Ariete’, nel senso che se faccio una cosa, continuo a fare quella. La Semiotica, cioè lo studio dei segni e della significazione, è la mia vocazione permanente, il che non esclude l’apertura di spirito ma richiede costanza. Anche perché se hai un progetto e muori se c’è qualcuno che porta avanti il tuo progetto allora sei vivo. Invece se dedichi il tuo tempo all’autocelebrazione, la morte non ti trova vivo. Allora io sono convinto che quando, come si dice in Romagna, andrò a mangiare i ravanelli da sotto, vorrei avere un progetto che qualcuno prosegua. Nel mio caso spero o mi illudo nella grande quantità di studenti che mi seguono, forse perché ho dedicato l’esistenza all’Università”.

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