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    Richard Gere a TPI: “Io su Open Arms ho visto il dolore delle persone a bordo, con me si sono aperte”

    Credit: Valerio Nicolosi

    Il racconto e le immagini del fotoreporter Valerio Nicolosi per TPI

    Di Valerio Nicolosi
    Pubblicato il 10 Ago. 2019 alle 12:01 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 02:23

    Chi ha storie così grandi per il dolore passato fa difficoltà ad aprirsi. Il solo ricordare riapre le ferite e io oggi le ho viste e sentite. Eppure oggi guardandoli negli occhi, toccandoli, facendogli capire che eravamo là per portare la nostra solidarietà, si sono aperti”. Sono le parole di Richard Gere, la star hollywoodiana salita a bordo della Open Arms che da ormai 8 giorni si trova in mare con 121 persone a bordo.

    Ci sono numerose donne, tutte in una parte del ponte di poppa dedicato a loro. Alcune riportano ferite da ustioni, altre piangono quando sentono nominare la Libia mentre altre ancora sono in un angolo ed evitano quasi ogni contatto con le altre persone. Gere, o meglio “Richi” come si presenta lui, li incontra tutti con grande sensibilità. Chiede e ascolta, è qui per imparare e capire un mondo totalmente lontano da lui che però reputa ingiusto. “Queste persone non possono tornare indietro, hanno sofferto troppo. Né nei paesi d’origine né in Libia. Dobbiamo farcene carico noi che siamo stati più fortunati”.

    Lui ha iniziato dal cibo e dall’acqua portati a bordo ieri, ha pagato tutto lui.

    Credit: Valerio Nicolosi

    Quello che Richard Gere ha trovato a bordo è stata una comunità, nonostante i giorni trascorsi insieme siano tanti e il rumore del motore e il caldo non aiutino la permanenza sulla nave. Ci sono alcuni bambini piccoli tra loro Moussa e Uma, due gemellini di 9 mesi, un maschietto e una femminuccia, che a rotazione vengono fatti giocare da tutti, nessuno escluso. I genitori sono molto presenti però tutti gli altri alleggeriscono il loro carico e giocano con loro.

    “Non li ho quasi mai visti piangere” mi dice una volontaria a bordo ed effettivamente sono sempre sorridenti. Richard Gere passa molto tempo con loro, troppo piccoli per sapere chi sia quel signore dai capelli bianchi ma abbastanza grandi per divertirsi con lui e sorridere mentre alle sue smorfie. Gere ha un figlio di pochi mesi, praticamente loro coetaneo. Nascere in parti del mondo diverse e avere un destino così opposto, lontano, doloroso. 

    Credit: Valerio Nicolosi

    Quando arriva il momento del pranzo “Richi” e Chef Rubio, anche lui salito a bordo con noi, non hanno nemmeno bisogno di dire che saranno loro a lavorare: prendono il grande pentolone con cous cous e ceci e iniziano a servire insieme ad Alberto Mallardo di Mediterranean Hope, altro “ospite” a salito sulla Open Arms con noi. “Mettine un po’ di più, Richi” dice Rubio, sicuramente più esperto di cibo rispetto alla star americana. Subito dopo mi mi guarda, ride e dice: “Certo, non ho mai avuto un assistente così in cucina!”. Finita la distribuzione si mangia tutti insieme, nelle stesse scodelle, nello stesso ponte.

    Richard Gere e Chef Rubio sono venuti qui per portare solidarietà ma soprattutto per capire cose succede nel Mediterraneo, a conoscere le persone direttamente coinvolte, a parlarci e farsi raccontare. In un momento in cui in tanti parlano di taxi del mare, messe in scena e tanto altro, soprattutto da casa o dai ministeri, essere su quella nave vuol dire molto.

    Credit: Valerio Nicolosi

    A bordo c’è anche Ani, la capo missione di Open Arms che mi racconta quanto è difficile mantenere e gestire la serenità sul ponte. “Abbiamo casi che sarebbero dovuti sbarcare subito per questioni mediche e abbiamo tanti minori non accompagnati che dovrebbero sbarcare per questioni legali oltre che etiche. Invece sono tutti qua, è incredibile come gli stati ci rimpallino e noi restiamo in mezzo al mare”.

    Prima di ripartire Richard e tutti gli altri fanno un giro per conoscere la nave e mentre il ponte di svuota i genitori di Moussa e Uma approfittano per fargli fare un bagnetto. Il ponte di poppa si ferma, tutti incantanti da questo momento di normalità e gioia nonostante al posto della vasca ci sia una grande scatola di plastica e che attorno a loro non ci sia un bagno ma un rimorchiatore di 35 metri, tutto ferro e motori ma con tanta umanità.

    Credit: Valerio Nicolosi

    È quasi il tramonto quando la barca d’appoggio ci viene a prendere per riportarci a terra. Mentre andiamo arriva la segnalazione di 39 persone su di un barcone a meno di un’ora di navigazione dalla Open Arms.

    Nonostante le 120 persone a bordo, nonostante i tanti giorni d’attesa e nonostante il poco spazio i soccorritori scendono dalla nave e si precipitano per il soccorso. Richard Gere è già andato a riposare, io resto con Riccardo Gatti e Oscar Camps, rispettivamente capo missione e fondatore di Open Arms, mi aggiornano su come evolve la situazione ed ad un certo punto, a notte inoltrata, urlano:”Salvati!”. Il problema adesso, come se già fossero pochi, è che Malta vuole prendere solo gli ultimi 39 e lasciare a bordo gli altri 120. La gestione del ponte sarà difficile nei prossimi giorni.

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