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    “L’ho ucciso perché mi sembrava felice”: l’inquietante confessione sull’omicidio di Stefano Leo ai Murazzi di Torino

    Stefano Leo
    Di Carmelo Leo
    Pubblicato il 1 Apr. 2019 alle 12:03 Aggiornato il 4 Apr. 2019 alle 09:49

    “Non lo conoscevo, ho scelto Stefano perché tra i tanti mi sembrava felice“. A poche ore dal fermo disposto dalla procura di Torino nei confronti di Said Mechaquat, il 27enne italiano di origini marocchine che domenica si è consegnato ai carabinieri confessando l’omicidio di Stefano Leo, avvenuto ai Murazzi del Po lo scorso 23 febbraio, emergono nuovi dettagli sull’interrogatorio nei confronti dell’uomo.

    “Io volevo ammazzare un ragazzo come me, togliergli tutte le promesse che aveva, toglierlo ai suoi figli e ai suoi parenti”, ha detto Mechaquat agli inquirenti, confermando di fatto di non avere avuto un movente ben preciso ma di aver agito in preda a un raptus. “Ho visto Stefano, lui mi ha guardato e ho pensato che dovesse soffrire come sto facendo io”.

    Nel corso dell’interrogatorio, Mechaquat ha ammesso di aver colpito a morte il 34enne, commesso di origini biellesi, con un unico fendente alla gola: “L’ho ucciso con il mio coltello, ve lo faccio trovare”. L’arma, ritenuta compatibile con le ferite sulla vittima, è stata infatti rinvenuta in una cassetta dell’Enel, in un posto a chilometri di distanza dal luogo dell’omicidio.

    L’uomo ha raccontato la sua difficile situazione familiare: la moglie, italiana, già da tempo non gli permette di vedere i loro figli, dopo che lui è stato condannato per maltrattamenti in famiglia. “La cosa peggiore – avrebbe rivelato durante l’interrogatorio – è sapere che il mio bimbo di quattro anni chiama papà l’amico della mia ex compagna”.

    Una situazione, questa, che lo ha fatto precipitare in una spirale fatta di depressione e sofferenze. In poco tempo l’uomo ha perso il lavoro da cuoco e si è ritrovato in strada, senza una famiglia su cui contare.

    Poi l’incontro, casuale, con Leo e quel raptus che ha segnato per sempre la vita di un’intera famiglia. Fino alla confessione, arrivata al termine della marcia organizzata dai parenti e dagli amici in ricordo di Stefano.

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