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    Mondragone dimostra che il problema non è il Covid, è la fame. E lo Stato non ha soluzioni

    Credits: ANSA/CIRO FUSCO
    Di Luca Telese
    Pubblicato il 26 Giu. 2020 alle 09:40 Aggiornato il 26 Giu. 2020 alle 12:30

    Il problema a Mondragone sono i moderni schiavi che vivono nei quartieri dormitorio, non il Covid. Il problema nelle scuole italiane sono i soldi che mancano (da anni), non i potenziali contagi nelle classi. Tuttavia, a fare da detonatore alle rivolte e alle proteste di questa notte di mezza estate – al contrario di come dovrebbe essere – non sono né il problema del caporalato, né quello delle mancate risorse per l’istruzione: ma le misure antivirus e il problema di come finanziarle. Ovvero: finché si penserà che si può imporre una quarantena ad un intero quartiere, senza risolvere un problema sociale che quei palazzi nascondono, è ovvio che la rivolta dei poveri sarà sempre dietro l’angolo.

    Finché si penserà che un comitato tecnico scientifico possa imporre un obbligo di mascherina in classe, senza risolvere il problema economico che questo precetto crea, l’unico risultato utile non potranno che essere le manifestazioni e la rabbia. Ecco perché Mondragone ci spiega che nel tempo del virus non possono più esistere “fantasmi”. Ed ecco perché il dibattito sulle nuove direttive in tema di scuola ci dice che in tempi di virus non si possono più fare nozze con i fichi secchi. È come se ci fossimo dimenticati che sulla domanda di tre miliardi di interventi straordinari ed urgenti si è dimesso un ministro – Lorenzo Fioramonti – ma che poi quelle risorse non sono più arrivate. Adesso il Covid è semplicemente un cameriere che ci presenta il conto.

    È come se ci fossimo dimenticati che solo pochi mesi fa qualcuno si chiedeva “a cosa serve regolarizzare i clandestini?”. Adesso la domanda potrebbe essere completamente ribaltata: ma come si può pensare che si possa affrontare una epidemia se abbiamo tra di noi degli schiavi privi di diritti e di assistenza? Adesso il Covid è semplicemente il riflettore che illumina questo angolo buio della nostra società. Come puoi chiedere a qualcuno di non andare a lavorare se non lo inserisci in un sistema di assistenza da cui ovviamente chi è fantasma e clandestino è escluso per definizione? Non puoi istituire una zona rossa se dentro c’è un buco nero.

    Non puoi curare le malattie endemiche della scuola amplificate anche loro dall’epidemia se – come dice la Azzolina – non sei pronto a stanziare subito un miliardo di euro per rimettere in sicurezza il sistema scuola. Ecco perché le domande del mondo pre-Covid non possono più restare appese nel vuoto nel mondo post-Covid: devi regolarizzare e devi assistere i braccianti. E devi sanare le infrastrutture del sistema educativo se vuoi riaprire le classi. Poi, ovviamente ti devi fare una domanda, che tutte queste storie ci pongono, ormai ogni giorno: l’Italia può ripartire e correre i cento metri con i pesi di piombo sulle spalle? Possiamo davvero immaginare che si possa fare didattica con la mascherina sulla faccia dei ragazzi negli spazi chiusi? E se questo vincolo rimane, in quale nuovo spazio puoi comprimere otto milioni di studenti?

    Ecco perché il Covid diventa il detonatore dei problemi. Ed ecco perché le misure anti-Covid diventano un amplificatore dei problemi: possiamo mantenere le stesse misure di distanziamento di due mesi fa se il virus ha perso la sua carica aggressiva? Due mesi fa le terapie intensive erano piene, oggi sono vuote. Due mesi fa il lockdown ers sacrosanto, oggi due metri di distanza, in sei regioni senza contagio al giorno (mediamente) sono una misura ammazza-Pil. In uno scenario drammatico come quello a cui ci ha costretto il virus, le manifestazioni e le rivolte ci dicono questa ultima importantissima cosa: non puoi combattere con le regole di una guerra di posizione una guerra che è diventata di movimento.

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