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    L’artista dell’installazione provocatoria con le salme dei migranti a TPI: “Vi spiego perché l’ho fatto”

    Credit: Andrea Dodicianni
    Di Giovanni Sgobba
    Pubblicato il 27 Giu. 2019 alle 12:58 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 02:33

    Migranti Padova installazione artista – “Per me loro possono anche annegare” si legge su un cartello, la cui affermazione porta la firma di Fabio, 23 anni. Accanto, un’altra frase che recita: “Non abbiamo mica bisogno di questa feccia”. E così via per un totale di dodici scritte tante quante sono le salme coperte da teli bianchi che nella mattinata di mercoledì 26 giugno numerosi passanti hanno trovato nel piazzale antistante la stazione di Padova.

    Lavoratori pendolari, studenti, turisti hanno incrociato i loro sguardi su quella che è un’installazione provocatoria dell’artista Andrea Dodicianni e realizzata grazie al supporto della sezione padovana dell’onlus Avvocato di strada. Disposti su due file, i dodici manichini delimitati dal nastro giallo-nero, simboleggiano i migranti morti durante il tentativo di superare le frontiere; una finzione che però sbatte in faccia con violenza quanto sa essere cruda la realtà stessa: quelle frasi colme di odio e disumanità, infatti, sono risposte vere direttamente raccolte dall’artista nei giorni precedenti parlando coi residenti di rifugiati e tematiche legate all’immigrazione.

    “Mi sono spacciato per giornalista con tanto di pass di una testata totalmente inventata, L’eco del Nord-Est, e ho iniziato a girare per Padova di tutto punto con camicia, giacca e registratore in mano – racconta in esclusiva a TPI Andrea Dodicianni – Ho cercato di differenziare le persone che fermavo dai giovani agli adulti per avere uno spettro più eterogeneo possibile e a loro ho semplicemente chiesto un parere sui rifugiati. Ho raccolto frasi che sarebbero andate oltre i dodici manichini che avevo a disposizione e l’aspetto a mio parere grave è che queste affermazioni non vengono al termine di un ragionamento nato per rabbia o in un momento particolare di frustrazione al culmine di una discussione animata. Vuol dire che tutto questo lo si pensa davvero, fa parte della quotidianità e del proprio essere e annienta tutto ciò che è umanità: qual è il prossimo limite?”.

    L’artista di 29 anni, che trasversalmente spazia tra performance musicali a installazioni specifiche, ha documentato il suo lavoro nella città veneta con un video in cui si sentono gli audio originali degli intervistati mentre scorrono le immagini dei curiosi che si sono fermati a osservare l’opera: “In una società in cui è permesso dire tutto, qual è il peso delle parole?”, si domanda Dodicianni nella clip che ha pubblicato sul suo profilo Facebook. È arrivato il momento che queste persone si rendano conto del peso, drammatico, di ogni singolo termine e della responsabilità che ne deriva: il suo messaggio chiaro e netto vuole essere un invito rivolto ai giovani della sua generazione e di quella successiva a esporsi.

    E a imporsi contro un hate speech che ha superato i già saturi confini dei social e che si diffonde nella quotidianità, nei pensieri lanciati di getto, anche senza avere una tastiera o uno schermo come “nascondiglio”: “Un signore, di corsa, vedendo i teli ci ha detto che pensava di trovarsi davanti a una strage”, dice Andrea Andriotta, responsabile della segreteria di Avvocato di strada, attiva a Padova dal 2004. E di strage si parla, perché, se l’intera installazione gioca sul peso delle parole, non può esserci un termine differente per raccontare le centinaia di morti in mare o per commentare, per esempio, la foto del salvadoregno Oscar Alberto Martinez Ramirez e di sua figlia Angie Valeria, di appena 23 mesi, riversi a faccia in giù nell’acqua melmosa del Rio Grande e annegati nel tentativo di lasciarsi alle spalle il Messico per entrare nel Texas, negli Stati Uniti. Lei infilata dentro la maglietta del padre e con il braccio attorno al suo collo, un’immagine che dovrebbe lacerare le nostre coscienze.

    “Siamo stati tutta la mattina accanto all’installazione – continua Andrea Andriotta – e anche se l’impatto è forte, sono stati numerosi i giudizi positivi, tra chi ci ha ringraziato, chi ha detto ‘ci voleva’ e chi si è fermato diversi minuti per osservare, leggere le frasi e riflettere. Dalle espressioni di quelli che non ci facevano domande abbiamo capito chi era contrario alla provocazione: su internet abbiamo letto diversi commenti negativi, ma di persona sanno essere meno diretti”.

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