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    Migranti, l’unico superstite di un gommone dalla Libia: “Nessun soccorso per 11 giorni. Ho dovuto buttare in mare i miei compagni morti”

    L'odissea di Mohammed Adam Oga, unico sopravvissuto del suo gommone nella traversata del Mediterraneo

    Di Veronica Di Benedetto Montaccini
    Pubblicato il 16 Ago. 2019 alle 15:40 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 02:22

    Migrante sopravvissuto a Malta: “Ho dovuto buttare in mare i miei compagni morti”

    Un migrante sopravvissuto a largo di Malta racconta la sua storia: è l’unico superstite. “Ho dovuto buttare i miei compagni morti in mare, nessuno è venuto a salvarci per 11 giorni”.

    Mohammed Adam Oga è l’unico sopravvissuto di un gruppo di quindici persone che si trovavano su uno dei gommoni della speranza che partono dalla Libia. La sua foto diffusa dalle Forze armate maltesi, che lo rappresenta da solo a bordo dell’imbarcazione, inginocchiato sul corpo di uno dei suoi compagni morti, ha fatto il giro del mondo. La sua drammatica vicenda ricorda come sia facile morire in un Mediterraneo dove i soccorsi in mare non ci sono.

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    Migrante sopravvissuto a Malta, l’intervista

    Intervistato dal Times of Malta nell’ospedale Mater Dei de La Valletta, Mohammed, 38 anni racconta così la sua odissea: ” Eravamo in 15 tra cui una donna incinta. Non avevamo né acqua, né cibo, né carburante. Siamo partiti il primo agosto dalla spiaggia libica di Zaywa. Abbiamo pagato 700 dollari”.

    La foto diffusa dalle Forze armate maltesi il 12 agosto

    I soccorsi mai arrivati

    Il migrante sopravvissuto al largo di Malta racconta: “I trafficanti ci hanno dato un Gps e ci hanno detto: andate verso Malta. Prima è finita la benzina, poi l’acqua e poi il cibo. Abbiamo cominciato a bere acqua di mare. Dopo cinque giorni sono morte le prime due persone. Poi ogni giorno ne morivano altre due”.

    Mohammed racconta di come abbiano in tutti i modi cercato di chiedere aiuto, senza alcuna risposta per gli 11 giorni in cui nessuno li ha soccorsi.

    “Gridavamo ‘aiuto, aiuto’, ci sbracciavamo verso le barche di passaggio, vedevamo aerei ed elicotteri passare sulla nostra testa ma nessuno ci ha soccorso. Faceva un caldo terribile e i corpi cominciavano ad andare in putrefazione. E non abbiamo avuto altra scelta che buttarli a mare”.

    Le preghiere in ginocchio sul corpo del compagno

    Su quel gommone, alla fine, sono rimasti in due, Mohamed e Ismail, il ragazzo di vent’anni poi trovato morto. “Lui – racconta Mohamed – a un certo punto mi ha detto: ‘Ora tocca a noi, moriamo insieme’ e ha buttato in mare il telefonino e il Gps. Io gli ho detto: ‘Io non voglio morire’.”

    Mohamed non ricorda il momento in cui l’elicottero maltese lo ha soccorso e portato in ospedale. Ora ringrazia Malta e dice: “Sono fuggito quindici anni fa dal mio paese, facevo parte dell’Oromo Liberation Front”, ho vissuto in Eritrea e Sudan poi degli amici mi hanno proposto di raggiungerli in Germania e sono andato in Libia. Se dovessi tornare in Etiopia mi arresterebbero. Adesso sono solo felice di essere vivo”.

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