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    Medici e operatori sanitari in attesa del vaccino, la denuncia a TPI: “Lavoriamo a contatto con il virus”

    Credit: Ansa foto

    Sono ancora parecchi gli operatori sanitari e socio sanitari liberi professionisti o impiegati nella sanità privata non accreditata in attesa della prima dose del vaccino anti-Covid. Si tratta di medici, fisioterapisti, odontoiatri, igienisti dentali ecc. che operano fuori dal Servizio sanitario nazionale. Federica Lia, che lavora come Tecnico di laboratorio in un laboratorio analisi privato in provincia di Roma, denuncia a TPI: "Ogni giorno vediamo molti pazienti positivi, lavoriamo a stretto contatto con il virus, per cui la risposta non può essere soltanto 'prima o poi verrete chiamati'. Inoltre, se ci ammaliamo e non possiamo lavorare, nessuno ci paga". Per quanto riguarda la situazione di medici e odontoiatri, ne abbiamo parlato con il presidente dell'Ordine dei Medici di Roma Antonio Magi: "Non sono stati inseriti come prioritari nel piano vaccinale nazionale. È stato un problema principalmente di natura organizzativa, accentuato dalla carenza di vaccini. Al momento ci risulta che il 60% dei nostri liberi professionisti sono stati vaccinati"

    Di Antonio Scali
    Pubblicato il 24 Mar. 2021 alle 13:28 Aggiornato il 27 Mar. 2021 alle 09:59

    A tre mesi dall’inizio della campagna vaccinale in Italia, sono ancora parecchi gli operatori sanitari e socio sanitari liberi professionisti o impiegati nella sanità privata non accreditata in attesa della prima dose. Tra questi rientrano medici, fisioterapisti, odontoiatri, igienisti dentali e tanti altri, che operano fuori dal Servizio sanitario nazionale. Se ne parla poco, ma mentre – con non pochi intoppi – si cercano di immunizzare gli anziani, gli insegnanti e le forze dell’ordine, il personale sanitario italiano non è ancora stato vaccinato nella sua totalità.

    Un inghippo, o forse sarebbe meglio dire una confusione, da ricercare direttamente nel testo del piano vaccinazione, nel quale si indica come categoria prioritaria gli “operatori sanitari e sociosanitari “in prima linea”, sia pubblici che privati accreditati”, i quali “hanno un rischio più elevato di essere esposti all’infezione da COVID-19 e di trasmetterla a pazienti suscettibili e vulnerabili in contesti sanitari e sociali. Inoltre, è riconosciuto che la vaccinazione degli operatori sanitari e sociosanitari in prima linea aiuterà a mantenere la resilienza del servizio sanitario”.

    Una distinzione che finora ha in parte escluso quegli operatori sanitari e sociosanitari che lavorano alle dipendenze del privato puro (il cosiddetto privato-privato) o come liberi professionisti, che pure operano a contatto con il pubblico e quindi a costante rischio di contagio – per se stessi e per i propri pazienti -, spesso senza neppure avere in dotazione gli adeguati dispositivi di protezione.

    Ne abbiamo parlato con Antonio Magi, presidente dell’Ordine dei Medici di Roma: “Il piano vaccinale nazionale non include i medici e gli operatori sanitari liberi professionisti tra quelli prioritari nella Fase 1 della campagna. Ma per la sanità costituiscono l’altra metà del mondo, visto che non tutti lavorano con il Ssn. Come Ordine dei Medici – prosegue Magi a TPI – abbiamo dato la disponibilità a censire i nominativi degli interessati e comunicarli alla Regione Lazio. L’assessore ci aveva detto che entro fine febbraio tutti quanti sarebbero stati vaccinati. Ci sono però stati degli intoppi, tra i vaccini che non arrivavano e un non corretto passaggio dei nominativi tra Regione e Asl. Noi come Ordine abbiamo inviato 13mila nomi di medici e odontoiatri liberi professionisti da vaccinare in tutto il Lazio. Dopo le prime 900 persone, c’è stato un blocco perché non era più disponibile il Pfizer. Nel frattempo, quando la campagna era ripresa, oltre ai medici, era partita la vaccinazione per le forze dell’ordine, gli insegnanti ecc. e quindi i vaccini non bastavano per tutti: come aver invitato a cena dieci persone con un piatto di pasta”.

    Ma qual è ad oggi la situazione? “Al momento ci risulta che il 60% dei nostri liberi professionisti sono stati vaccinati. Pian piano le Asl stanno chiamando, in maniera difforme, il restante 40%. Stiamo seguendo costantemente la vicenda – ci fa sapere Magi – tanto che per lunedì (29 marzo) ho convocato tutti i direttori sanitari per fare il punto della situazione. È stato un problema principalmente di natura organizzativa, accentuato dalla carenza di vaccini. Vaccinare la popolazione medica è fondamentale in primis per tutelare i pazienti. Spero venga mantenuta la priorità nella campagna per i sanitari: se si ammalano i medici, chi cura i pazienti? Inoltre i cittadini devono essere sicuri che il medico sia vaccinato e non possa trasmettere il virus”, conclude il presidente dell’OMCeO di Roma. Un problema, ribadiamo, che non riguarda solo il Lazio, ma che è stato segnalato dagli Ordini professionali competenti anche in altre Regioni.

    Tornando più nello specifico sul tema degli operatori sanitari, abbiamo raccolto la testimonianza di una di loro, Federica Lia, giovane ragazza calabrese che lavora come Tecnico di laboratorio in un laboratorio analisi privato in provincia di Roma, da ottobre accreditato anche per l’esecuzione dei tamponi. “Ci avevano fatto compilare un modulo di adesione a gennaio per poterci vaccinare a febbraio, poi ci hanno detto che se ne riparlava a marzo, ma ancora nulla. Lavorando in un laboratorio che esegue tamponi, penso che tutto il personale dovrebbe essere messo in sicurezza, a prescindere dal tipo di contratto lavorativo”. Una situazione che, come detto, riguarda anche medici e dentisti liberi professionisti, oltre ad altri operatori sanitari come fisioterapisti, igienisti dentali, logopedisti, tecnici della riabilitazione, psicologi ecc. che non rientrano nel Ssn. Come se il discrimine da tenere in considerazione fosse l’essere accreditati al servizio sanitario, e non il rischio di contrarre il Covid.

    “Qualcuno è stato vaccinato, ma si tratta di chiamate random. Ad oggi nel Lazio solo circa 1000 di noi su 4700 domande pervenute. Inoltre, mentre per esempio gli anziani o i caregiver possono prenotarsi attraverso una piattaforma o chiamando un numero, noi non abbiamo neppure questa opportunità. L’Albo ha inviato i nominativi alla Regione, ma alcuni non risultano”, spiega Lia a TPI. “L’Asl dovrebbe contattarci ma finora è avvenuto a macchia di leopardo, solo per alcuni fortunati. Se per esempio hanno trascritto male un numero, non verremo mai chiamati, perché non abbiamo accesso diretto alla prenotazione, come invece avviene per altre categorie”.

    “Ogni giorno vediamo molti pazienti positivi, lavoriamo a stretto contatto con il virus, per cui la risposta non può essere soltanto ‘prima o poi verrete chiamati'”, ci racconta la giovane operatrice sanitaria. Se giustamente in primis è stata data priorità al personale sanitario che opera direttamente con i pazienti Covid, probabilmente subito dopo si poteva dare spazio a questo comparto della sanità “dimenticato” dalla campagna vaccinale. “Se c’è una categoria che non si ferma mai quella è la nostra. Il problema, inoltre, non riguarda solo il Lazio, ma un po’ tutte le Regioni. Abbiamo un gruppo Facebook (Qui invece quello dei medici e degli odontoiatri) che raccoglie persone da tutta Italia”, aggiunge Lia. A chi e a cosa attribuire questo ritardo? “Dal mio punto di vista la responsabilità è a monte, per come è stato pensato e scritto il piano vaccinale. Si parla di un eventuale licenziamento o sospensione per quegli operatori sanitari che rifiutano di vaccinarsi, mentre noi vorremmo riceverlo e non possiamo. Un paradosso”.

    Il ritardo nella vaccinazione si lega poi alle minori tutele contrattuali rispetto a chi opera nel pubblico. “Ad ottobre – spiega – è stato chiesto alle strutture private di collaborare per l’esecuzione di tamponi e altre procedure di screening, perché solo con i drive-in e gli ospedali il pubblico non riusciva a smaltire la mole di lavoro. Così il nostro impegno è notevolmente aumentato, ma non siamo protetti e tutelati da nessuno. A livello contrattuale, se restiamo a casa un giorno, o due mesi, nessuno ci paga”.

    “Anche per quanto riguarda i dispositivi di protezione, mentre in ospedale vengono fornite giornalmente nuove mascherine, noi ce le dobbiamo procurare di tasca nostra. Se mi dovessi ammalare – confida la ragazza a TPI – come farei a pagare l’affitto e le bollette, visto che non percepirei uno stipendio? Non possiamo vivere nell’attesa di ricevere una chiamata o un messaggio, che nemmeno si sa quando arriverà, per poter essere vaccinati”.

    Di certo i ritardi nella consegna delle dosi da parte delle aziende farmaceutiche hanno rallentato la campagna di vaccinazione, come dimostrano i dati ancora insufficienti riguardo agli over 80 e alle persone fragili immunizzati. Nelle prossime settimane è attesa una decisa accelerata, con il presidente del Consiglio Mario Draghi che ha fissato l’obiettivo di raggiungere i 500mila vaccinati al giorno entro aprile. Sperando che così non vengano più lasciati indietro, tra gli altri, anche tutti quei medici, odontoiatri e operatori che garantiscono l’assistenza sanitaria nel nostro Paese, indipendentemente se nell’ambito del Ssn o come liberi professionisti.

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