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    Le mascherine della Protezione civile? Acquistate da aziende con sede in paradisi fiscali e già escluse da gare pubbliche

    Di Elisa Serafini
    Pubblicato il 30 Apr. 2020 alle 18:47 Aggiornato il 30 Apr. 2020 alle 19:07

    Un’inchiesta del quotidiano La Stampa, realizzata con IrpiMedia dai giornalisti Matteo Civillini e Gianluca Paolucci sta mettendo in luce alcune importanti contraddizioni relative alla gestione dell’emergenza Coronavirus. I giornalisti hanno potuto accedere ai contratti stipulati dall’organismo che sta gestendo la crisi: sono 91, per un totale di 356 milioni di euro, e hanno scoperto alcuni importanti elementi che riguardano la gestione dell’acquisto delle mascherine, tra pagamenti da effettuare in paradisi fiscali, curiosi rapporti politico-commerciali con la Cina e prezzi ben al di sopra dei 50 centesimi a prodotto.

    Tra gli elementi più rilevanti della ricerca, c’è proprio quello del prezzo. La promessa delle mascherine chirurgiche a 50 centesimi sembra infatti difficile da mantenere: le forniture della Protezione civile indicano prezzi più alti: dai 70 centesimi della Pluritex srl (contratto del 3 marzo), alla Imagro che li ha venduti a 60, fino alla Tokyo Medical Cosulting che dichiara un prezzo di 1,67 euro l’una per per un totale di 435 mila euro già liquidati.

    Le aziende respinte da Consip

    IrpiMedia ha evidenziato come tra le società coinvolte dalla Protezione civile ci siano due aziende che erano state escluse da Consip, la Winner Italia, e la Agmin Italy, con quest’ultima che aveva vinto una serie di lotti nelle gare Consip per mascherine e altri dispositivi per essere poi esclusa dopo le verifiche. Nel 2014 l’azienda aveva vinto un bando dell’Unione Europea, da quasi un milione di euro, per la fornitura di prodotti in Bielorussia. La Commissione Europea avrebbe però verificato che la merce non era stata effettivamente consegnata, e che l’azienda non avrebbe sostituito la garanzia finanziaria necessaria dopo che quella precedentemente emessa era risultata non valida.

    I paradisi fiscali

    L’elemento di maggiore interesse forse di tutta l’inchiesta è legato però ad un altro tema: quello dei paradisi fiscali. La società Agmin indica come sede di pagamento un conto intestato ad un fondo nelle Isole Cayman, lo Scipion Active Trading Fund. Le Isole Cayman sono indicate dall’Ue come Paese che non collabora a livello di trasparenza fiscale e sono quindi finite nella “black list”.

    D’Alema, Rutelli e quel legame con il governo di Pechino

    Tra i contratti di fornitura figura anche la Silk Road Global Information limited, società legata alla Silk Road Cities Alliance, iniziativa del governo di Pechino a sostegno della Via della Seta, progetto di infrastrutture di collegamento e logistica tra Cina ed Europa. Ai vertici di questo ente vi sono due ex deputati: Francesco Rutelli e Massimo D’Alema, oltre a funzionari del Governo cinese. Il nome di D’Alema appare effettivamente in alcune delle mail scambiate da Palazzo Chigi nella chiusura di un accordo del valore di 2.6 milioni di euro (per ventilatori polmonari). Alcuni membri del Governo e del Parlamento, anche di maggioranza, si stanno già muovendo per promuovere interrogazioni che possano chiarire i punti più rilevanti di questa inchiesta.

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