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    Marco Cappato assolto nel processo sul caso di Dj Fabo: la sentenza della Corte d’Assise di Milano

    Dj Fabo, a sinistra, e Marco Cappato in aula, a destra

    In mattinata era arrivata la richiesta del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano: "Dopo la sentenza della Consulta di settembre, al principio di sacralità della vita si sostituisce la tutela della fragilità umana. E quindi il fatto non sussiste". I giudici le hanno dato ragione

    Di Carmelo Leo
    Pubblicato il 23 Dic. 2019 alle 11:27 Aggiornato il 23 Dic. 2019 alle 12:49

    Marco Cappato assolto nel processo sul caso Dj Fabo

    Oggi, lunedì 23 dicembre 2019, è ripreso davanti alla Corte d’Assise di Milano il processo ai danni di Marco Cappato, accusato di aiuto al suicidio per aver accompagnato Fabiano Antoniani (Dj Fabo) in una clinica in Svizzera per praticare il suicidio assistito: alla fine, l’esponente dei Radicali è stato assolto perché “il fatto non sussiste”.

    In aula sono arrivati gli applausi dopo la lettura della sentenza. I giudici hanno dunque deciso di assecondare la richiesta che, in mattinata, era arrivata dalla pm Tiziana Siciliano. Il procuratore, infatti, ha chiesto l’assoluzione per Cappato perché “il fatto non sussiste”.

    Una richiesta che è arrivata dopo la pronuncia della Corte Costituzionale del settembre scorso, quando era stato deciso che “l’aiuto al suicidio non è sempre punibile”. Il procuratore aggiunto Siciliano ha dunque dichiarato che la sentenza della Consulta, al “principio di sacralità della vita sostituisce la tutela della fragilità umana”.

    E nel caso di Dj Fabo, morto il 27 febbraio 2017 dopo tre anni di sofferenze (da quel tragico incidente nel 2014 che lo aveva reso cieco e tetraplegico), ricorrono tutti e quattro i requisiti indicati dalla Consulta che ha tracciato la via sulla non punibilità dell’aiuto al suicidio. Secondo la pubblica accusa, dunque, l’esponente dei Radicali e tesoriere dell’associazione Luca Coscioni non è colpevole di alcun reato.

    Aver aiutato Dj Fabo, ha detto Cappato, è stato dettato da “una motivazione di libertà, di diritto all’autodeterminazione individuale, laddove non è la tecnica del tenere in vita o del far morire che è rilevante, ma la libertà di autodeterminazione, quella sì che è rilevante”. Soddisfatta anche la difesa di Marco Cappato, che aveva proprio chiesto l’assoluzione “perché il fatto non costituisce reato”, chiedendo alla Corte di fare “un passo avanti” e di avere “coraggio giuridico”. Era stato lui stesso a costituirsi nel 2017, dopo aver accompagnato Dj Fabo in Svizzera, con l’intento di avviare in Italia una discussione sul tema del fine vita.

    Secondo la legge italiana, l’esponente dei Radicali rischiava dai 5 ai 12 anni di carcere per l’aiuto fornito a dj Fabo. Ma la Corte d’Appello di Milano, chiamata a decidere sul processo, aveva sollevato una questione di legittimità costituzionale, esaminata dalla Consulta nel settembre scorso. Da allora, la strada verso un’assoluzione di Cappato era sembrata in discesa. E la sentenza della Corte d’Assise di Milano di oggi lo ha confermato.

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