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    “A Bergamo ero nella trincea, ora mi vaccino e ai no vax dico: liberate posti in ospedale”

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 23 Dic. 2020 alle 10:25 Aggiornato il 23 Dic. 2020 alle 10:51

    “Il mondo è fatto da tante persone, normali e non. Non condivido il pensiero di un negazionista o un no vax, ma lo rispetto. Però vorrei che lui nella sua scelta rispettasse gli altri, cioè noi. Se si ammala non deve venire in ospedale. Pensi di non avere il virus? Ok. Sei libero di ammalarti e anche di morire, ma non di togliere un posto letto a chi non è andato in giro senza mascherine a gridare contro la polizia. Uguale col vaccino. Non vuoi vaccinarti? Ok. Ma se ho un posto libero in reparto, lo do a chi crede nel vaccino”.

    Luca Lorini è il direttore del dipartimento di emergenza, urgenza e area critica (in pratica il capo delle terapie intensive) dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, il 27 dicembre sarà tra i primi vaccinati in Italia.

    “Voglio vaccinarmi per dare l’esempio e perché il vaccino è la luce in fondo al tunnel. Non è il mio campo, non mi occupo di questo ma penso che avere prodotto un vaccino in dieci mesi sia una cosa straordinaria”, dice a Repubblica. “Per ottenerne uno di solito ci vogliono due anni. Capite? È come lasciare adesso la Ferrari e ritrovarla a marzo che dà un secondo per ogni giro alle Mercedes. Ma il punto, per quanto mi riguarda, va al di là della straordinarietà dei tempi: sono stato in prima linea nella trincea più calda di questa guerra. Non vedevo l’ora di potermi vaccinare”.

    “La prima ondata è stata qualcosa che ho realizzato e elaborato dopo. Mentre sei nel mare in tempesta e nuoti, cerchi di salvare tutta la gente intorno a te. Poi quando il mare torna calmo, capisci che cosa è successo. I morti, i sopravvissuti, la forza che ci hai messo. La seconda ondata è stata molto più debole.”, prosegue Lorino. “Questo biennio, alla fine, rimarrà nella storia. Come la febbre spagnola. Ma — al netto di un dolore immenso — a Bergamo qualche aspetto positivo resterà. Come ospedale abbiamo resistito a uno tsunami e la gente bergamasca si è dimostrata seria, dignitosa, forte. Siamo stati aggrediti alle porte dalle orde barbariche. Ma abbiamo retto”.

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