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    “Volevo solo fare l’imprenditore”: l’odissea di Davide per avviare un’attività è la stessa di 30mila giovani in Italia

    Davide Panero

    26 anni e il desiderio di aprire un’attività per conto proprio grazie a un finanziamento. Ma per lui, come per tanti altri ragazzi in Italia, è solo l’inizio di un calvario

    Di Veronica Di Benedetto Montaccini
    Pubblicato il 18 Ott. 2019 alle 17:13 Aggiornato il 18 Ott. 2019 alle 17:20

    L’Italia non è un paese per giovani imprenditori: l’inferno di Davide tra burocrazia e false speranze

    “Mi hanno tolto la vita. In Italia se vuoi aprire un’attività hai il mondo contro. Mi sento lasciato solo dall’Italia, dalle banche e anche dalla mia famiglia”. Davide ha 26 anni e un sogno nel cassetto: fare l’imprenditore. La sua storia, che racconta ai microfoni di TPI, inizia come tante, con un lavoro da dipendente ma sottopagato, al limite dello sfruttamento. È così che decide di aprire un’attività tutta sua a Torino con l’idea di commercializzare e vendere all’ingrosso prodotti per le unghie e l’estetica. Il suo percorso ad ostacoli tra burocrazia e false speranze è lo stesso che riguarda altri 30mila giovani in Italia che provano a fare impresa, ma non riescono. E spesso rinunciano perché rimangono bloccati da uno Stato che li abbandona.

    L’odissea di Davide tra finanziamenti mancati e zero garanzie

    Davide Panero per far partire la sua piccola azienda si rivolge a un consulente, apre la partita Iva e trova un locale che fa al caso suo e che chiama Esthétique 36. Inizialmente sembra andare tutto a gonfie vele e anche i lavori di adeguamento procedono secondo i piani. Così Davide richiede un finanziamento a una società di microcredito. Ma il prestito tarda ad arrivare, da quel momento inizia il calvario.

    I lavori non possono essere terminati entro il periodo stabilito e il giovane imprenditore si vede costretto a far fronte a spese non preventivate.

    “A quel punto comincia la mia ricerca per altre fonti di credito imbattendomi in una situazione a dir poco surreale – spiega Davide – Diversamente da quanto sponsorizzato, posso asserire con assoluta certezza che l’aiuto alle neo-imprese da parte dello Stato, della Regione e del Comune è pari a zero. Mi sono affidato a funzionari che si sono rivelati svogliati e superficiali, ho contattato diversi Enti creditizi che, in assenza di consistenti garanzie personali, non hanno minimamente preso in considerazione la mia domanda”.

    Nessuno sembra rispondere alle richieste di finanziamento: “Ho contattato anche il Comune e la Regione Piemonte – racconta Panero – per alcuni bandi che scopro essere inattivi da anni. Contatto anche Confidi e altri Enti locali che anch’essi non possono essermi d’aiuto. Sembrano tutti impossibilitati ad aiutarmi”.

    Esthétique 36, il negozio che Davide non riesce a pagare

    La fregatura della Crif

    Spesso gli ostacoli più grandi si nascondono dietro difficoltà che potrebbero capitare a chiunque. “A maggio di quest’anno – specifica Davide – trovo un ente creditizio che opera sul territorio nazionale e inoltro la domanda. Anche in questo caso è un flop. Ricevo delibera negativa a causa di un problema legato alla Crif. Per una errata segnalazione, da parte di una finanziaria con cui ho un prestito in atto, per le banche ero un ‘cattivo pagatore’. Inutile anche aver risolto questo problema, la situazione non è cambiata”.

    Davide era stato segnalato perché in un mese, anziché una rata, gli sono state prelevate due rate per un abbonamento.

    Tutta colpa di una rata da 20 euro per il telefonino pagata con qualche giorno di ritardo, che gli ha causato a cascata una lunga serie di problemi. ” Una situazione assurda che mi ha provocato tanta amarezza, ho dovuto pagare le rate d’affitto del negozio senza poter aprire. Ho poi scoperto che c’è una rata da 417 euro per un finanziamento che non ho mai sottoscritto a crearmi i problemi come cattivo pagatore”, sottolinea l’imprenditore.

    Quella volta che Mattarella ha telefonato a Davide

    Davide non si abbatte e chiede aiuto attraverso le istituzioni e le associazioni. Pochi sono pronti a dargli voce ma tra gli interessati alla sua storia c’è anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. “Che emozione quando Mattarella mi ha telefonato attraverso la segreteria del Quirinale – racconta Davide – mi ha dato il suo sostegno morale e ha voluto conoscere la mia situazione. Mi ha detto di non mollare mai”.

    Poi Davide aggiunge: “Nessuno però mi ha fornito un aiuto concreto”.

    Anche la famiglia ha abbandonato Davide

    I debiti, i flop uno dopo l’altro e una vita nel limbo hanno fatto sì che i genitori di Davide cominciassero a dar lui sempre meno fiducia.

    “È davvero dura – dice il 26enne – mi sento spesso solo. Ma capisco la mia famiglia. A 26 anni mi vedono ancora senza stipendio, tra mille difficoltà e non credono più in me, che forse li ho delusi troppe volte. Questa sogno imprenditoriale mi sta costando tanto anche in termini psichici”.

    La voce di Davide trema mentre racconta quante volte avrebbe voluto lasciare tutto e rimettersi a fare il dipendente perché attorno a lui vedeva solo”terra bruciata”.

    “La generazione dei miei genitori – sottolinea Davide – non capisce che non c’è modo di fare esperienza per noi, che l’accesso al micro credito è reso quasi impossibile. E non dipende da quanta grinta hai, ma da un vero e proprio sbarramento all’ingresso”.

    Davide Panero durante un corso di formazione

    Un problema per tanti, troppi ragazzi

    Davide non è il solo a vivere l’inferno della burocrazia. In Italia, sono sempre meno i giovani imprenditori in attività: le aziende under 35 registrate sono crollate del 19 per cento negli ultimi sette anni. Se ne contavano 697.426 nel 2011, un periodo in cui la crisi iniziava a lasciare il segno e a togliere ossigeno a tutti i comparti produttivi. A settembre 2019, come riportato dai dati di Infocamere, il numero delle “baby” imprese si è ridotto a poco più di 563mila.

    La riduzione dello stock per oltre 134mila unità non è in linea con il calo demografico della popolazione tra i 18 e i 35 anni che, pur non arrestandosi, nello stesso arco di tempo si è fermato, secondo l’Istat, al -5 per cento. Inoltre, il crollo non può essere neanche imputato del tutto alla più generale flessione economica: tra il 2011 e oggi le attività complessivamente registrate sono rimaste per lo più stabili (-0,1 per cento).

    Quella delle imprese giovani, quindi, sembra essere una vera e propria frenata. Lo stupore è ancor maggiore se si pensa al pacchetto di misure a favore dell’imprenditoria giovanile adottate negli ultimi anni. Ogni recente governo, chi più chi meno, ha approvato iniziative specifiche volte a finanziare o a semplificare l’autoimprenditorialità e, più in generale, la galassia delle start up innovative, dove nel 45,2 per cento casi è presente un under 35 nella compagine sociale.

    A pesare sul calo in picchiata delle imprese giovani in Italia è soprattutto la carenza sul piano culturale e formativo. Studi sull’educazione all’imprenditorialità nelle scuole superiori svolti nei paesi scandinavi mostrano come i ragazzi partecipanti tendano poi a presentare una propensione cinque volte più alta dei coetanei nell’avviare una propria impresa. In Italia questa alternanza scuola-lavoro imprenditoriale è ancora una chimera.

    Le imprese che non trovano sbocco e fanno perdere la speranza ai ragazzi comportano anche un altro grande problema, quello dei Neet. L’Eurostat colloca l’Italia al primo posto tra i Paesi dell’Unione Europea per tasso di Neet, quei giovani che né studiano, né lavorano.

    La percentuale di giovani italiani tra i 15 e i 29 anni che non ha un impiego e contemporaneamente ha scelto di abbandonare i banchi di scuola è infatti la più alta in assoluto, e ciò nonostante negli ultimi anni il fenomeno abbia fatto registrare una importante contrazione. Nella graduatoria europea il nostro Paese, con il 24,1 per cento di giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano non lavorano e non fanno formazione, precede Grecia (21,3 per cento), Bulgaria (18,9 per cento), Croazia (17,9 per cento) e Romania (17,8 per cento).

    L’idea del crowdfunding

    Per far fronte alla sua difficile situazione imprenditoriale, Davide ha deciso di far partire una campagna di crowdfunding a sostegno della sua attività e per poter trovare una nuova sistemazione abitativa.

    La storia di Davide può aiutare altri imprenditori a non perdere il coraggio e a fare rete: “C’è bisogno di prendere coscienza delle realtà surreali come le mie con la speranza che vengano presi provvedimenti al fine di contrastare l’esodo di noi giovani”.

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