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    L’accademia della Crusca boccia lo schwa: “Rende tutto un mucchietto di parole”

    Di Sofia Gadici
    Pubblicato il 2 Dic. 2021 alle 14:16 Aggiornato il 2 Dic. 2021 alle 14:21

    L’accademia della Crusca boccia lo schwa, la piccola ‘e’ rovesciata da aggiungere alla fine di una parola che secondo alcuni potrebbe risolvere il problema della distinzione delle identità di genere nella lingua italiana.

    “L’italiano si può rendere più inclusivo, ma le proposte per farlo devono rispettare le regole del sistema lingua, altrimenti la comunicazione non si realizza, e la lingua non funziona”. Sono le parole di Cecilia Robustelli, docente ordinaria di Linguistica italiana presso l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, che da anni lavora con l’Accademia della Crusca. La ragione della contrarietà è anzitutto tecnica.

    La grammatica

    In un’intervista alla Dire, la professoressa ha spiegato che “la funzione primaria del genere grammaticale in un testo è permettere di riconoscere tutto ciò che riferisce al referente, cioè all’essere cui ci riferiamo, attraverso l’accordo grammaticale. Se si eliminano le desinenze scompaiono tutti i collegamenti morfologici, e il testo diventa un mucchietto di parole delle quali non si capisce più la relazione”.

    Chi sostiene la ‘schwa’ ritiene che nella grammatica italiana il genere espresso dalle desinenze avrebbe il difetto di dare visibilità ai due soli generi maschile e femminile, ignorando tutti coloro che non si identificano in uno dei due. Robustelli ribatte che “il genere grammaticale viene assegnato ai termini che si riferiscono agli esseri umani in base al sesso. Il genere ‘socioculturale’, cioè la costruzione, la percezione sociale di ciò che comporta l’appartenenza sessuale, rappresenta un passaggio successivo”.

    Riguardo l’introduzione di un simbolo schwa, la professoressa ha ribadito che così “si eliminano gli accordi tra le parole e si mina l’intera coesione testuale: e questo è un fatto grave”. Quando si realizzano cambiamenti in una lingua occorrerebbe innanzitutto chiedersi se il cambiamento sia in grado di funzionare, di assolvere allo scopo che un sistema linguistico deve compiere, cioè la comunicazione.

    La battaglia

    Robustelli non nega che questa proposta si “animata da buone intenzioni” ma ritiene che si irrealizzabile nella realtà della lingua italiana. Per raggiungere lo stesso scopo sarebbe più utile intensificare la discussione sul significato dei nuovi generi e approfondire le ragioni che ne motivano la richiesta di riconoscimento sociale: “È il discorso il luogo adatto a questo scopo, non la grammatica”.

    Inoltre, per Robustelli l’introduzione di un simbolo al posto delle desinenze avrebbe la conseguenza di impedire il riconoscimento della presenza femminile nella società, quando è invece “fondamentale nella lingua italiana nominare donne e uomini con termini maschili e femminili e usare al femminile anche i termini che indicano ruoli istituzionali e professionali di genere femminile se sono riferiti a donne”.

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