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    Coronavirus, la lettera: “Tamponi ai calciatori, ma non a noi medici, è una discriminazione”

    A Bologna 1 test ogni 5 minuti con i tamponi drive-thru in automobile, in maniera sicura e rapida, 18 marzo 2020. ANSA/USL BOLOGNA
    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 23 Mar. 2020 alle 15:24

    Coronavirus, la lettera: “Tamponi ai calciatori, ma non a noi medici, è una discriminazione”

    “Grande solidarietà con il personale sanitario, striscioni ovunque, slogan buonisti sbandierati da tutti ma di fatto solo discriminazione e ipocrisia”. Sono le parole del primario di Medicina dell’ospedale di Magenta, Nicola Mumoli, che ha inviato una lettera al Corriere della Sera in cui parla di “discriminazione” a proposito dei tamponi per il Coronavirus eseguiti nei confronti di calciatori e personaggi del mondo della politica o dello spettacolo, ma non dei medici. Un tema che era già stato denunciato da TPI in questo articolo.

    “Dirigo l’Unità operativa di Medicina dell’ospedale di Magenta da più di due anni dove da settimane, con immenso e costante sforzo dei miei collaboratori, trovano cura oltre 130 pazienti affetti da Covid 19”, si legge nella lettera di Mumoli. “Sono attualmente 2.629 i sanitari contagiati — l’8,3% del totale dei colpiti — e tra essi 14 vittime”, ricorda il medico. “Tutti hanno nascosto sotto una mascherina la propria identità, nessuno ha cercato visibilità, di loro nessuno ha parlato perché queste notizie «non fanno più rumore del crescere dell’erba», come scriveva Ungaretti”.

    “Una mia collaboratrice, impegnata da subito in questa battaglia e con contatti quotidiani con pazienti affetti da Covid 19 disease, pochi giorni fa si è ammalata, manifestando sintomi e segni tipici della patologia virale”, spiega il primario. “Contattati più volte i numeri di emergenza nazionale, le è stato negato il tampone. Invece oggi le pagine delle cronache riportano le buone condizioni di calciatori, attori e politici che esattamente come la mia collaboratrice hanno avuto «contatto con persone positive e sintomi da virosi» ma cui, a differenza della dottoressa, è stato eseguito il tampone e quindi formulato un corretto programma sanitario di controllo”.

    “Non conoscere, ma solo ipotizzare per la mia collaboratrice un contagio da Coronavirus, oltre a essere ragione di preoccupazione e angoscia, non le consente di applicare le linee guida in fieri sull’eventuale assunzione di farmaci antiretrovirali né di scegliere i corretti tempi del rientro al lavoro. Inevitabile il pensiero di chiunque: grande solidarietà con il personale sanitario, striscioni ovunque, slogan buonisti sbandierati da tutti ma di fatto solo discriminazione e ipocrisia”.

    “Se si deve scegliere tra un calciatore e un medico non ci sono dubbi e ci sentiamo condannati a sparire sotto quella mascherina che indossiamo ogni giorno con grande fierezza, esercitando un lavoro che mai come ora consideriamo un privilegio”, conclude il medico.

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