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    “Ho i sintomi del Coronavirus ma non mi fanno il tampone: così contagerò tutti”: la denuncia di una dottoressa in autoisolamento

    Quarantena Credits: Ansa

    "Io paziente sintomatica lasciata a piede libero"

    Di Giulia Cerino
    Pubblicato il 24 Mar. 2020 alle 15:58 Aggiornato il 24 Mar. 2020 alle 17:28

    “Ho tutti i sintomi del Covid-19 e ho paura di trasmetterlo”. E. è una donna che vive in Emilia Romagna, chiusa a casa da due settimane in quarantena preventiva, ma a cui viene negato il tampone. Preferisce restare anonima, e ha molta paura di contagiare le persone che la circondano e si sente completamente abbandonata dalla sanità e dalle istituzioni.

    Nella sua denuncia a TPI, raccolta da Giulia Cerino, dice: “Noi sintomatici a domicilio dobbiamo essere controllati rigorosamente ogni giorno e attraverso procedure robuste e standardizzate, nessun errore è ammesso; poiché, se erroneamente “dimessi” dall’isolamento, siamo noi che rischiamo maggiormente di diffondere il contagio”.

    Il racconto di E. ha dell’assurdo. “Suona il telefono – racconta – Rispondo. ‘Pronto, la chiamo dall’ufficio di sanità pubblica, lei è la signora E.F.?’, ‘Sì, sono io’. ‘La chiamo per concludere la sua pratica di quarantena preventiva che finirà domani a seguito dei trascorsi 14 giorni dal contatto con il caso COVID-19 positivo, può darmi un indirizzo e-mail a cui mandarla e dirmi chi è il suo medico di base che deve essere informato’. ‘Guardi che io sono sintomatica, e tuttora! E l’ho anche segnalato. Anzi, mi avete detto di avermi registrata come sintomatica e che sarei stata contattata dagli esperti. Non vi ho più sentiti. Oggi sento lei”.

    “Chiudere la pratica di quarantena – continua E. – e quindi “liberarmi” e farmi raggiungere la mia famiglia e magari passare dal supermercato a comprare 100 grammi di prosciutto oggi, il basilico domani, e i grissini il giorno dopo. E magari andare anche in farmacia a comprare qualche vitamina per farmi sentire meno la stanchezza. Oppure ritirare un impellente atto giudiziario in posta. Solo facendo così, ne infetterei almeno 10, forse qualcuno in più. Per non parlare poi del numero di persone che in seguito mio marito contagerà, e i vicini di casa che incontrerò per caso sul pianerottolo e mi diranno “ben tornata”.

     

    Poi E. denuncia: “Mi assale un pensiero che non mi piace affatto, ovvero quanto sia doloroso capire che la sanità pubblica del mio territorio, che così bene conosco e così bene apprezzo, stia smarrendo la bussola nelle procedure fondamentali. Un cittadino sintomatico viene lasciato a piede libero quando ancora ha tutti i sintomi ascrivibili a COVID-19. Insomma, così facendo sembra che il sistema confidi semplicemente che il sintomatico in questione si comporti bene”.

    “Se non fossi provvista di quattro stupide nozioni di medicina – dice indignata – e un ammirevole buonsenso, se avessi sintomi ancora più blandi di quelli che avverto, sarei uscita dall’isolamento con il vostro avallo. Ben che vada, forse, uscirei dall’isolamento rigorosamente “solo” per le cosiddette attività essenziali (sempre che io sia un cittadino ligio e dotato di “buonsenso”). O al massimo per farmi una corsetta nei dintorni di casa. Senza girarci troppo intorno, sarei tutto ciò che con tenacia si sta cercando di evitare. ‘Guardi che io sono solo un amministrativo’ mi risponde prontamente il mio interlocutore. ‘Certo, lei è un amministrativo che deve opporsi con forza ai suoi dirigenti e dire loro che qua c’è qualcosa che non funziona, qualcosa di pericoloso, per lei, per i medici, gli infermieri, i tecnici di radiologia medica, i farmacisti, i commessi, gli impiegati della posta, per noi, per tutti’”.

    Il racconto di E. continua: “Dall’altra parte del telefono, attimi di imbarazzante silenzio, poi finalmente una flebile voce mi risponde: “Ha ragione, m’informo e le farò sapere”. Non è tua la colpa caro amministrativo, stai solo svolgendo il compito che ti hanno assegnato. Sto ancora aspettando (anche la pratica di quarantena cautelativa chiusa, però, per fortuna)”.

    Ma soprattutto è tanta l’angoscia della donna sintomatica: “La mia non è voglia di fare polemica, ma reale paura. Non è voglia di non comprendere le oggettive difficoltà di gestione di questa emergenza, ma angoscia. Temo che come la mia storia ce ne siano altre centinaia. Non è quindi difficile giungere al risultato di una moltiplicazione selvaggia del contagio. Il solo buonsenso di noi cittadini può fare, a mio avviso, solo danni”

    “Non arriviamo a perdere il conto dei morti come in Lombardia”, il monito di E. risuona più triste che mai.

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