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    “Ci sono più casi solo perché facciamo più tamponi”. Non è proprio così, positivi quadruplicati

    Di Marta Vigneri
    Pubblicato il 20 Ott. 2020 alle 11:06 Aggiornato il 20 Ott. 2020 alle 11:34

    Ci sono più casi di Covid perché facciamo più tamponi? Non è proprio così

    L’Italia della seconda ondata di Covid conosce un numero di contagi mai visto nemmeno durante il lockdown, quando l’epidemia affollava gli ospedali e anche i cimiteri. Il ragionamento che spesso viene condotto in questi giorni è che il picco di casi dipende dal fatto che si effettuano più tamponi rispetto a marzo, diagnosticando anche quei pazienti asintomatici che in un primo momento non venivano tracciati, motivo per cui il contagio sembra più diffuso. Eppure, come fa notare un’analisi di Huffington Post, ad aumentare è anche la percentuale dei positivi sui tamponi effettuati: se il sei ottobre era del 2,68 per cento, il 19 superava il 9 per cento. Una crescita del totale di positivi sui tamponi pari al 200 per cento in meno di due settimane.

    Significa che i contagi aumentano sia in termini relativi che in termini assoluti. Nei giorni che vanno dal 2 al 4 ottobre la percentuale dei positivi sul totale dei tamponi era del 2,38 per cento, mentre la settimana successiva, dal 9 all’11 ottobre, il dato è salito al 4,55 per cento. E ancora, dal 16 al 18 ottobre, la percentuale media dei positivi rispetto al numero di tamponi è arrivata al 7,07 per cento. Significa che in due settimane si è passati da 2 a 7 positivi ogni 100 tamponi condotti, con un aumento percentuale del 250 per cento.

    Resta però la constatazione che la maggior parte dei casi tracciati è relativo a pazienti asintomatici, non gravi e in isolamento domiciliare: questi rappresentano il 97 per cento dei positivi, e cioè la quasi totalità. Allo stesso modo, la percentuale dei sintomatici e pazienti ricoverati con sintomi si mantiene su una media del 6,3 per cento sul totale degli infetti, con uno scostamento massimo dello 0,2 per cento. Anche la porzione di pazienti ricoverati in terapia intensiva è minima sul totale, pari allo 0,57 per cento con un’oscillazione dello 0,3.

    Si può concludere dunque che la differenza principale tra la seconda e la prima ondata è legata alla gravità dei casi: a marzo la maggior parte di quelli diagnosticati era di pazienti sintomatici, ricoverati o in terapia intensiva, mentre adesso l’epidemia fotografa una curva epidemiologica in costante aumento, ma rappresentata da casi di asintomatici, assistiti in casa. Oggi la percentuale di pazienti ricoverati con sintomi è di 7 volte inferiore rispetto a marzo, e quella di malati in terapia intensiva di 10 volte inferiore.

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