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    Coronavirus, lasciare liberi i guariti? “Ne basta uno ancora infetto e si ricomincia”. Lo studio

    Credits: ANSA / Massimo Percossi
    Di Redazione TPI
    Pubblicato il 30 Mar. 2020 alle 08:04

    Coronavirus, lasciare liberi i guariti? “Ne basta uno ancora infetto e si ricomincia”. Lo studio

    “Un guarito, uno solo, che si aggira inconsapevole di essere ancora contagioso, e ricominceremmo daccapo”. Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri di Bergamo, riassume con queste parole il rischio di una strategia poco lungimirante per il rientro dei guariti da Coronavirus alla normalità. Il delicato tema tra quelli affrontati in uno studio condotto dall’epidemiologo Boris Bikbov, ricercatore dell’’Istituto Mario Negri, e dal sociologo Alexander Bikbov ricercatore della Scuola Superiore delle Scienze Sociali a Parigi.

    Attraverso un’analisi interdisciplinare, i due studiosi mettono insieme le ricerche fin qui condotte dalla comunità scientifica per capire se l’approccio attuale è sufficiente a impedire la seconda ondata dell’epidemia. Un punto cruciale, su questo fronte, è proprio l’uscita dalla quarantena dei guariti. Per gli inizi di giugno, secondo gli esperti, le persone dichiarate tali saranno massimo 130mila, salvo variazioni molto significative delle attuali curve statistiche. Ma il numero dei reali guariti – inclusi i casi di positività da Coronavirus non diagnosticata – sarebbe almeno il doppio. Come evitare allora che un guarito che non ha più sintomi, ma che sia ancora infetto, corra il rischio di contagiare gli altri?

    Per rispondere a questa domanda è fondamentale capire per quanto tempo la persona malata diffonda il virus nell’ambiente. Su questo aspetto esistono pochi studi, e quello che emerge è che questo periodo può variare in base alla gravità dell’infezione. I pazienti gravi diffondono il virus per 20 giorni in media, mentre per pochi pazienti questo periodo può durare fino a 37 giorni. Per i pazienti lievi la durata media è di 10 giorni, ma per alcuni continua fino ai 15 giorni. Per tutti i casi, secondo le raccomandazioni, prima delle dimissioni va fatto il tampone per assicurarsi che non ci sia più l’escrezione del Coronavirus.

    Ogni persona ammalata, per essere dichiarata guarita, deve avere due tamponi negativi fatti a distanza di un giorno. Considerando che l’80% dei pazienti con Coronavirus ha una forma lieve, e molti di loro non vengono ricoverati perché gli ospedali sono sovraccaricati di malati con il livello dell’infezione più grave, molti pazienti con Coronavirus rimangono a casa senza fare il test diagnostico. Per loro è molto importante sapere che la diffusione del virus può continuare anche dopo la scomparsa della febbre e dei sintomi più gravi.

    Questa informazione, secondo lo studio, “non è stata ampiamente comunicata al pubblico”, ma le persone devono conoscere questo e altri rischi “per sviluppare un metodo razionale e diffuso per combattere l’epidemia a livello individuale e collettivo”.

    “Finora dalle autorità abbiamo avuto una comunicazione incentrata su alcune cose comunque importanti, come l’isolamento sociale. Il prossimo obiettivo deve essere quello di coinvolgere i cittadini, fornendo le conoscenze che li aiutino a uscire in sicurezza dalle loro case”, spiega il direttore dell’Istituto Mario Negri Remuzzi. “Credo che occorra indicare una strada precisa. Un nuovo protocollo. Il medico di base non può lasciar andare via subito l’ex malato. Deve rivolgersi alla ASL, ognuna delle quali ha bisogno di mezzi e di organizzazione per i controlli senza aspettare quindici giorni per vedere se un paziente è negativo. Mandando in giro guariti veri, aiuteremo l’economia”.

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