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Giro d’Italia 2022: una tavola imbandita per il campione olimpico

Di Simone Gambino
Pubblicato il 5 Mag. 2022 alle 17:49 Aggiornato il 5 Mag. 2022 alle 17:50

Per un tifoso italiano che guardi la lista dei partenti del 105° Giro d’Italia c’è il forte rischio di dover ricorrere agli antidepressivi. Infatti, balza subito all’occhio un’assenza che per quasi tutti gli addetti ai lavori resta inspiegabile, quella di Damiano Caruso (Bahrain Victorious). Il ciclista ragusano, secondo l’anno scorso alle spalle di Egan Bernal (Ineos Grenadiers), ha deciso nel 2022 di non partecipare alla corsa rosa, preferendo disputare il Tour de France dove, a suo dire, punterà a vincere una tappa e, se le circostanze lo permetteranno, alla conquista della maglia a pois della classifica degli scalatori. Ascoltando queste parole, non ho potuto non pensare a quanto Dante Alighieri scrisse su Celestino V nel terzo canto dell’Inferno.

Se si fosse schierato al via, Damiano sarebbe stato il primo antagonista dell’indiscusso favorito di questo Giro d’Italia: l’equadoriano Richard Carapaz (Ineos Grenadiers). Lo squadrone britannico ha operato quest’anno una scelta tanto alternativa quanto astuta. Con Egan Bernal fuori causa, ha deciso di mandare il suo uomo di punta al Giro d’Italia, con il chiaro intento di vincerlo per il terzo anno consecutivo. Il Tour de France, da sempre fulcro della stagione Ineos, verrà sacrificato sull’altare della real politik posto che, oggettivamente, il successo nella Grande Boucle sarebbe stato quasi impossibile contro i dioscuri sloveni, Tadej Pogacar (UAE Team Emirates) e Primoz Roglic (Jumbo Visma). Pertanto, la medaglia d’oro di Tokyo 2020 sarà sostenuta sulle strade italiche da sette corridori, ciascuno dei quali potenzialmente capitano in altre formazioni: ognuno, nella migliore tradizione Ineos, avrà un ruolo assegnato e delle consegne ben precise da rispettare.

Fortunatamente il ciclismo non è una scienza esatta per cui non mancherà chi tenterà di rompere le uova nel paniere degli uomini in sella alle bici Pinarello. Occorre chiarire che, perché ciò avvenga, servirà che costoro commettano qualche errore. L’inglese Simon Yates (Team Bikeexchange Jayco) ed il portoghese Joao Almeida (UAE Team Emirates) risultano i più accreditati a contrastare la Locomotora del Carchi secondo gli allibratori che pongono, poi, in una ideale seconda linea di preferenza, lo spagnolo Mikel Landa (Bahrain Victorious), il colombiano Miguel Angel Lopez (Astana Qazaqstan) ed il francese Romain Bardet (Team DSM). Il disegno del percorso suffraga la pericolosità di Yates. Gli stessi motivi, tuttavia, portano ad escludere non solo Almeida ma anche colui che cinque anni fa conquistò la corsa rosa: Tom Dumoulin (Jumbo Visma), che a tre anni dalla sciagurata caduta di Frascati torna sulle strade che l’hanno consacrato campione.

Landa e Lopez, scalatori sublimi quando in forma, hanno la pessima abitudine d’accusare almeno una giornata storta nell’arco delle tre settimane, unità ad una propensione alla caduta che va oltre la semplice malasorte. Occhio, invece, a Bardet. Un grande saggio del ciclismo, Massimo Ghirotto, lo ha indicato come potenziale sorpresa. Il podio è sicuramente alla sua portata. Merita un occhio di riguardo, senza limitarsi ad indicare solo un nome, la Bora – Hansgrohe. La squadra tedesca è seconda solo alla Ineos per valore dei suoi componenti. Con l’unico nome papabile azzurro non al via, si può sperare in un piazzamento dignitoso di Giulio Ciccone (Trek Segafredo), eterna promessa di un domani che non diviene mai oggi. A Lorenzo Fortunato (Eolo-Kometa Cycling Team), infine, si chiede di proseguire nel cammino di crescita messo in moto con la splendida vittoria l’anno scorso sullo Zoncolan.

La lista dei partecipanti di quest’anno è particolarmente ricca di cacciatori di traguardi parziali. Tra gli sprinter Mark Cavendish (Quick Step Alpha Vinyl Team) e Caleb Ewan (Lotto Soudal) potrebbero dar vita ad un duopolio difficilmente attaccabile dagli sprinter azzurri Giacomo Nizzolo (Israel Premier Tech) e Jakub Marezcko (Alpecin Fenix). Da Thomas De Gendt (Lotto Soudal) ci si attende una fuga celebrativa nel decennale della sua grande impresa sullo Stelvio, magari con il sostegno dei battaglieri corridori di Bardiani CSF Falzanè e Drone Hopper Androni Giocattoli, le due Pro Team italiane incaricate d’animare la corsa. Alejandro Valverde (Team Movistar) e Mathieu Van der Poel (Alpecin Fenix) dovranno nobilitare il Giro con i loro numeri d’alta scuola. Buon ultimo non poteva che esserci lui, Vincenzo Nibali (Astana Qazaqstan). Nessuno gli chiede nulla. Simile ad Atlante, ha retto per dieci anni sulle sue spalle il peso di un movimento che, ora che lui ha imboccato il viale del tramonto, sta mostrando tutte le sue crepe. Sarebbe bello vederlo protagonista per l’ultima volta.

La tappa inaugurale, Budapest – Visegrad, di 195 chilometri, s’annuncia scoppiettante. E’ una novità assoluta questa per il Giro che, tradizionalmente, ha sempre aperto con brevi cronometro o con tappe per velocisti. Fondamentalmente, assisteremo ad una piccola Freccia Vallone in salsa tzigana con il Danubio che sostituirà la Mosa e l’ascesa finale al castello di Visegrad, pallida imitazione del Muro d’Huy. A 5.600 metri dall’arrivo si comincerà leggermente a salire per quasi due chilometri. Poi, quando mancheranno al traguardo 3.800 metri la pendenza raddoppierà, da 2,5% a 5%. Sarà questo il momento decisivo in cui, presumibilmente Valverde e Van der Poel, i due favoriti di giornata, daranno fuoco alle polveri. Le speranze d’Italia per la conquista di questa prima maglia rosa riposano sulle spalle di Diego Ulissi (UAE Team Emirates), alla ricerca del nono successo parziale al Giro, mentre non può essere escluso dal pronostico l’enfant du pays, Attila Valter (Groupama FDJ), che vorrà essere profeta in patria indossando nuovamente quella maglia rosa già sfoggiata per tre giorni l’anno scorso.

L’attesa è finita. Si va in scena!

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