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    “Storiella scop*reccia, ca**eggiava, cappellata”: il nuovo slang da borgatara di Franca Leosini

    Franca Leosini. Credit: Ansa
    Di Franco Bagnasco
    Pubblicato il 8 Giu. 2020 alle 15:26 Aggiornato il 8 Giu. 2020 alle 15:33

    Franca Leosini è tornata, più incontenibile che mai. Anzi, vittima lei stessa (non sempre si può essere carnefici) di una strana incontinenza verbale che indulge al volgarotto. Ieri sera su Raitre la soave dark lady delle “Storie maledette“, classe 1934, ha confezionato la prima puntata della nuova serie, ambientata in Barbagia.

    All’interno del carcere di Alghero, la nostra intervistava Francesco Rocca, facoltoso dentista di Gavoi (Nuoro) condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio della moglie, Dina Dore, avvenuto il 26 marzo 2008. L’arresto dell’uomo avvenne più di quattro anni dopo la tragedia, a seguito di una svolta nelle indagini, che l’avevano visto sin lì in una posizione piuttosto defilata. La moglie di Rocca fu trovata nel garage della loro abitazione (che aveva la saracinesca semi-abbassata), incaprettata, picchiata e morta per soffocamento a causa di un nastro adesivo applicatole sul volto. Era chiusa all’interno del baule della sua auto. Lì accanto, la culla contenente la loro bambina di otto mesi.

    Già in questa fase il racconto della Leosini si arricchisce di macabri particolari, che lei riporta con un apparente, lievissimo imbarazzo appellandosi a una fantomatica “ricostruzione per dovere processuale”. Leosini, infatti, ha come personale verbo “gli atti” giudiziari, che cita come una Bibbia salvifica a ogni piè sospinto. Ma dal momento che un programma televisivo non è un processo vero (e lei fa di tutto per far finta di non accorgersene), i medesimi possono essere anche un po’ edulcorati. A meno che non si voglia solleticare il voyeurisimo del pubblico. Ma tant’è.

    Leosini ama incalzare i carnefici, i “Condannati per omicidio”, con arabeschi verbali, ed è diventata a suo modo oggetto di culto televisivo pagano per questo. Dunque non le par vero poter sottolineare che Rocca all’epoca dei fatti (e prima) aveva avuto una relazione con Anna Guiso, giovane assistente del suo studio dentistico. Storia della quale la moglie era venuta a conoscenza, senza che tra i due si consumasse però una rottura definitiva. Domanda secca di Leosini: “Davvero in quel periodo Anna per lei era solo una storiella scopereccia?”. Ora, l’espressione “storiella scopereccia” non la usa neanche un rapper adolescente quando fa il pezzo che vuol risultare fighissimo. Figurati immaginarla sulla bocca (e magari sul copione) della candida Franca. A meno che non fosse nei famosi “atti” processuali, ma mi permetto di dubitarne. Tanto che lo stesso omicida la inviterà poco più in là a ripeterla, quell’espressione, sembrando averne lui stesso pudore.

    Ma aspetta che ce n’è ancora, fratello: “Anna aveva lasciato intendere che lei era uno sciupafemmine, uno che con le donne cazzeggiava: piccola, tu sei nel mucchio”, dice la millennial Leosini. E a seguire, virando sull’ospedaliero: “Come vi beccò sua moglie? Con le famose antenne che hanno le donne, o per quelle chiacchiere di paese che a volte sono funeste come coliche?”. È evidente che qui si vola altissimi. Sino all’affondo conclusivo tardo ottocentesco: “Lei, farabutto e fedifrago come tutti i mariti che tradiscono angeliche spose”. “Farabutto e fedifrago” fra l’altro glielo dice due volte, casomai fosse passato inosservato. Ma Rocca resta quasi impassibile.

    Se non vi fosse già venuto il sospetto che alla sciura Leosini la profonda consapevolezza del proprio ruolo sia un tantinello sfuggita di mano, non resta che continuare. Il condannato proclama: non posso aver commesso la tale leggerezza, altrimenti sarei stato (testualmente) “un coglione”. Leosini, dal bancone del suo Bar Sport lo rassicura: “Rocca, del resto quando si è innamorati un po’ coglioni si può anche essere”. E ancora: “Quando Anna decide di lasciarla lei fa anche un po’ di cappellate”. Cappellate, capisci? La Leosini ha detto “cappellate” in prima serata. E a questo punto ti aspetti soltanto una gara fra ex commilitoni a chi sputa più lontano, per finire in bellezza.

    Indubbiamente fa un po’ effetto sentire una signora di 86 anni così al passo con il gergo dei tempi, giusto per usare quei garbati eufemismi che lei fatica a trovare. E’ un po’ come vedere smoccolare la canuta nonnina dello spot della candeggina Ace, per chi ha l’età per ricordarsela. Oppure Cristina D’Avena che infila parolacce nelle sigle per bambini. Cose che non ti aspetti.

    Come finisce la prima storia maledetta? Rocca, che secondo gli inquirenti aveva due moventi (l’omicidio passionale e problemi economici nel mandare avanti i suoi due legami sentimentali) viene incastrato dopo il ritrovamento (da parte della sorella della vittima) di una lettera anonima nella quale sono riportati i nomi di alcuni vecchi amici del dentista. L’interrogatorio del supertestimone Stefano Lai porta all’individuazione di Pierpaolo Contu (minorenne all’epoca dei fatti) come esecutore materiale dell’omicidio. Contu viene condannato a 16 anni.

    Il match tra il condannato che si proclama innocente e chiede la revisione del processo, nonostante la condanna già confermata in Cassazione, e Miss Leosini in modalità new slang borgataro si chiude quasi con un pareggio. Anzitutto Rocca con i suoi faldoni alla mano rinfaccia a Franca: “Se guardo gli atti lei se la prende”. Come a sottolineare: uei bella, li ho anch’io, “gli atti”, mica li puoi citare solo tu. Eh.

    La nostra sotto finale, pur continuando a ripetere “Lei si assume la responsabilità di quel che dice”, è costretta a mollare un po’ il colpo inquisitorio anche perché Rocca gioca il jolly: i conti che non tornano. “Il DNA di Ignoto 1 sul nastro che avvolgeva la povera Dina non è di Contu, e non sono mai stati fatti controlli a tappeto in paese sul Dna per provare a individuarlo”. “Inoltre c’è un’altra traccia e l’impronta di uno stivale sul luogo del delitto che non è stata considerata”.

    L’ultima mano è del condannato, insomma. Che riesce a dire la sua dopo un’ora e 50 di sberloni virtuali. O quasi. E monna Franca ringrazia soddisfatta, perché ha portato a casa la puntata. Ma la giustizia spettacolo in tv ha (ha sempre avuto) tanti limiti. Ieri ha mostrato anche quello del teatrino boccaccesco; del monologo stucchevole, un po’ troppo recitato ed egoriferito.

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