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Orchestre ridotte all’osso e nuove tecnologie: la grande crisi della musica

Di Andrea Montemurro
Pubblicato il 10 Dic. 2020 alle 12:38 Aggiornato il 10 Dic. 2020 alle 12:45

“La musica è finita”. O almeno così cantava Ornella Vanoni a Sanremo del 1967 (nel magnifico brano che ha segnato un’epoca composto per lei da Franco Califano e Umberto Bindi). Ecco la musica è davvero finita: il settore musicale oggi sta vivendo forse la peggiore crisi di sempre, illuso da tutti ma aiutato da nessuno. La vendita dei “compact disc” negli ultimi anni è stata sostituita da piattaforme di download dei brani che hanno decretato la fine della vendita di supporti che ormai possono essere definiti obsoleti. Queste innovazioni hanno comportato la chiusura di quasi tutti i negozi musicali, la vertiginosa diminuzione dei diritti d’autore e una perdita di fatturato pressoché totale degli studi di registrazione che, per rimanere in vita, devono ripiegare sulla creazione di scuole di musica o attività secondarie. Senza dimenticare la diminuzione dei turni dei musicisti professionisti che faticano a sopravvivere perché troppo spesso sostituiti da campionatori, suoni sintetici e programmi artificiali.

Non solo mancata vendita dei supporti fisici ma anche una consequenziale diminuzione delle serate live. Parliamo di eventi che rappresentavano un’importante voce di fatturato per tutti gli artisti. Il Covid 19 ha fatto la sua mossa letale con la chiusura di teatri e degli spettacoli in generale.

Se la musica “commerciale” non sorride, ha iniziato decisamente a piangere quella cosiddetta “colta”: le orchestre sono ridotte all’osso e spesso sostituite dalle nuove tecnologie e dalle orchestre straniere in grado di praticare tariffe molto concorrenziali in tempi rapidi, offrendo un prodotto valido a prezzi da noi difficilmente praticabili.

Fortunatamente una nota positiva c’è: la crescita dell’industria del vinile che ritorna dopo oltre un decennio a far parlare di sé non più come oggetto di intrattenimento ma anche quasi come oggetto di arredo. Un segno “più” nella percentuale di vendita dei dischi in vinile è certamente un indice di piccola ripresa del mercato. Per quanto, sarebbe stato difficile un segno “meno” in un’industria che ha toccato il fondo e scavato oltre.

Insomma, oggi come non mai il settore della musica italiana sta facendo una fatica stremante. Un vero peccato per un’industria che dagli anni 60 agli anni 90 aveva innescato un importante boom economico positivo. Non solo per gli artisti famosi ma anche per una serie di “gregari” impegnati tra turni in studio, serate live nei locali e feste di piazza. Ma oggi tutto questo non rimane che un ricordo. Con la speranza che il grido di aiuto che si sta levando sia ascoltato. Prima che sia troppo tardi.

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