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Grazie Fedez: la generazione Z è la nostra salvezza per costruire una società inclusiva e antisessista

Di ReWriters
Pubblicato il 2 Mag. 2021 alle 19:59 Aggiornato il 2 Mag. 2021 alle 21:12

* Di Eugenia Romanelli (Presidente dell’Associazione Culturale ReWriters), che ogni mese firma un editoriale per TPI sulla riscrittura dell’immaginario contemporaneo.

Fedez, con il suo atto di ieri sera, ha conquistato a pieno titolo il diritto di essere definito un ReWriters, ossia un riscrittore dell’immaginario della contemporaneità: il nostro Comitato Scientifico è già al lavoro per valutare l’eventuale consegna del Premio ReWriters. Dal nostro punto di vista, quindi parlando in termini di incisività simbolica, il rapper ha lasciato per sempre un segno nella realtà del nostro paese.

Infatti, oltre al significato politico del suo gesto, di cui stanno parlando tante testate e non solo, c’è una ricaduta potentissima anche (e soprattutto) sui modelli socioculturali di riferimento. Per la prima volta, infatti, un maschio bianco, cisgender, rappresentante tipico della famiglia mulino bianco, ultraricco, si incarica dei diritti di una minoranza, a cui né lui né i suoi prossimi appartengono.

L’aspetto rivoluzionario? La ribellione di fronte all’ingiustizia. L’affermazione dell’empatia come modalità primaria di stare al mondo. La supremazia dell’etica sulla politica. L’umanità che sovrasta qualsiasi altra qualità. Il senso di appartenenza a una comunità valoriale, al di là di qualsiasi differenza di punti di vista. Questo è il mondo che vogliamo.

Questa è la visione per la cui affermazione ReWriters è nato ed è quotidianamente impegnato ogni giorno: fare innovazione socioculturale per costruire una nuova generazione pluralista, progressista, inclusiva, antisessista, LGBT+ friendly, creativa, per sviluppare buone pratiche sostenibili e diventare, anziché predatori, custodi di questo pianeta.

Fedez è un uomo del futuro: due volte padre, marito, mito sexy di molte ragazze, eppure piange in pubblico senza imbarazzo, parla delle sue crisi d’ansia, mette lo smalto sulle unghie, si dice indifferente quando suo figlio gioca con le bambole. Ha sposato una bellissimissima che, intanto, si impegna su temi femministi e mostra la pancetta post partum ricordando che il corpo delle donne va bene com’è.

E adesso diventa attivista per i diritti di altri, proprio come dicevo su Tiktok qualche ora prima, perché non è necessario essere #donna per lottare contro il sessismo, #gay per lottare per i diritti LGBT+, #nero per lottare contro il razzismo, #disabile per lottare contro le discriminazioni, #animale per difendere i diritti di un’altra specie.

Ricordiamoci che la nostra generazione ha fatto il suo tempo, ed è il momento di fare un passo indietro e lasciare spazio a questi uomini e donne che stanno costruendo nuovi paradigmi di senso, nuovi simboli, e una società più fluida, resiliente, dinamica, basata sulla condivisione di valori invece che di idee, sulla cooperazione invece della competizione. Come ricordo in un mio articolo, noi siamo quelli nati nel Millennio scorso, in una cultura, quella latina, che considera le donne oggetti e proprietà, sottomesse al maschio, a lui inferiori.

Con i nostri uomini che considerano il cat-calling un complimento, vissuti con la mentalità fascista del Codice Rocco in cui vigeva l’istituto del matrimonio riparatore (estinzione del reato di violenza sessuale se lo stupratore di una minorenne acconsentiva poi a sposarla, salvando l’onore della famiglia di lei), cresciuti con il delitto d’onore (abrogato solo nel 1981) e il reato di adulterio (abrogato solo nel 1968), senza una legge per divorzio (1970) e aborto (1978).

La cosiddetta generazione Z è la nostra salvezza, loro, i primi ad aver vissuto l’epoca dei matrimoni omosessuali, ragazzi e ragazze che ricercano la soddisfazione personale in un impiego legato alle loro passioni più che a un salario, che considerano più importante il well-being (“economia della felicità”) rispetto al capabilities approach, alla performance, che si considerano leali, compassionevoli, riflessivi, di mentalità aperta, responsabili e determinati (qui lo studio).

Persone gender fluid o comunque felici di oscillare tra le rappresentazioni del maschile e femminile, senza turbamenti legati all’orientamento sessuale. E allora, forza, fatevi avanti, Fedez ma anche Aurora Ramazzotti, che denuncia il Cat Calling, o Damiano dei Måneskin che si vanta dei suoi vestiti “effemminati”, mentre qui prende posizione sulle esternazioni di Grillo, o Achille Lauro, a cui dobbiamo essere grati per aver dichiarato queste parole, dall’alto del suo potere di influenza:

“Cinquantenni disgustosi, maschi omofobi: l’aria densa di finto testosterone, il linguaggio tribale costruito, anaffettivo nei confronti del femminile. Indossare capi di abbigliamento femminili, oltre che il trucco, la confusione di generi è il mio modo di dissentire e ribadire il mio anarchismo, di rifiutare le convenzioni da cui poi si genera discriminazione e violenza. Voglio essere mortalmente contagiato dalla femminilità, che per me significa delicatezza, eleganza, candore. Ogni tanto qualcuno mi dice: ma che ti è successo? Io rispondo: Sono diventato una signorina”.

Leggi anche: Chi sono i riscrittori e le riscrittrici della contemporaneità in Italia

Leggi l'articolo originale su TPI.it
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