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L’Iran fotografato dalle sue donne

She Who Tells a Story: a Boston in mostra le opere delle donne fotografe che squarciano gli stereotipi del mondo arabo

Di Vittoria de Petra
Pubblicato il 8 Gen. 2014 alle 16:05

Fino al 12 gennaio 2014 il Museum of Fine Arts di Boston ospiterà la mostra dal titolo “She Who Tells a Story: Women Photographers From Iran and the Arab World”. L’esposizione è passata inosservata tra le notizie artistiche del 2013 sui nostri magazine d’arte. La mostra è stata inaugurata lo scorso 27 agosto 2013 dimostrando, forse, che spesso i frame di guerra e distruzione lasciano inciampare l’immaginazione dell’Occidente: le macerie sono anche culturali, lì non sta rimanendo più nulla. Invece no. È proprio lì che si deve guardare.

L’energia delle opere in mostra è ben lontana dalla bambagia speculativa degli artisti occidentali perché “She Who Tells a Story”, ovvero “Colei che racconta una storia”, oltre a squarciare il velo pesante e nero della forte identità di genere imposta nel Medio Oriente, esorcizza il pericoloso fantasma della desolazione creativa. Figure femminili nascoste sotto pesanti tessuti, represse, esotiche, sottomesse e misteriose. Sono proprio le donne, molto lontane da questi stereotipi – quelle che ci si aspetta senza potere e in balia dell’oppressione dietro mura tremanti – a ricoprire un importante ruolo nella Primavera Araba e nella rivoluzione culturale sotto le bombe.

Sebbene non sia conveniente che le donne possano utilizzare una macchina fotografica, molte sono le artiste che si sono avvicinate alle barricate. L’Iran, in particolare, pone un sostanzioso numero di ostacoli per i fotoreporter, sia uomini che donne. Il New York Times, nell’articolo dedicato alla mostra, riporta parecchie testimonianze, tra le quali quella di Shadi Ghadirian, iraniana, che ha dichiarato che nel suo paese una donna fotografa può essere considerata un potenziale traditore.

Emblematica l’opera di Newsha Tavakolian, che raccoglie una serie di donne fotografate con gli occhi chiusi, con le labbra che segnano movimenti precisi ma che non emettono suoni. L’evidente emozione consacra profondamente la performance silenziosa: i soggetti ritratti sono cantanti professioniste e le loro labbra mute protestano. Contro cosa? Contro le restrizioni conservative che proibiscono alle donne di cantare in pubblico.

Qui, la gallery del New York Times su “She Who Tells a Story”

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