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Fare pace in cammino verso Assisi

La costruzione della pace è un processo permanente, che richiede l'educazione ai diritti umani, al rispetto per gli altri, al servizio del bene comune.

Di Padre Kizito
Pubblicato il 26 Ott. 2016 alle 13:22 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 08:36

“Quante guerre ci
sono in Africa?”
Il 9 ottobre, mi ero inserito negli ultimi
chilometri della marcia da Perugia ad Assisi per la pace e la
fratellanza quando una bambina di 10 o 12 anni, mi si è affiancata e
mi ha posto questa domanda. Non ho risposto subito, mi son fermato un
po ansante sul ripido approccio finale alla città di San Francesco
ed ho fatto finta di pensare, mentre in realtà stavo semplicemente
recuperando il fiato. “Proviamo a contarle insieme”, ho
detto, prendendo il mio tempo e contando con le dita, “Sud
Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Somalia … e poi, sai, le
guerre hanno radici diverse, non si può farne semplicemente un
elenco…” ma lei non molla “mio papà dice che tu vieni
dall’Africa e sai rispondermi. Quante sono le guerre in Africa? ”

L’Africa è percepita
in Europa come un continente in guerra. Nei mass media europei,
dell’Africa si parla quando ci sono guerre, atrocità e violenza. Si
crea una percezione sbagliata che è difficile da contrastare.

Di fatto l’Africa a sud
dell’equatore, Repubblica Democratica del Congo a parte, non ha
conosciuto nessuna guerra dall’inizio di questo secolo; gravi
ingiustizie economiche e strutturali, sì, repressione e violenza
interna sì, ma nulla che potremmo definire una guerra civile o una
guerra tra stati. Al Nord le guerre si sono sviluppate tutte in una
grande area di stati confinanti che includono Libia, Sudan, Ciad, Sud
Sudan, Repubblica Centrafricana, la parte orientale della Repubblica
Democratica del Congo. Più due paesi non geograficamente confinanti
con questa area, Mali e Somalia. Tutte queste guerre sfidano
spiegazioni semplicistiche
. Per capirne e spiegarne i legami, le
somiglianze e le differenze non basterebbe un libro. Impossibile
spiegarle in pochi minuti ad una bambina che molto probabilmente non
sarebbe nemmeno in grado di localizzare questi paesi in un atlante
geografico. Continuando il cammiano ho ripendato alle guerra africane che conosco meglio..

Alla base di ogni
conflitto c’è un forte interesse nazionale o etnico. Spesso la
dimensione nazionale viene rappresentata da una persona, un leader,
che ne diventa il portavoce e l’icona, per il bene o per il male. In
alcuni casi l’interesse, specialmente in campo economico, è cosi
forte che il leader mette in second’ordine i bisogni e i diritti degli
altri, incurante delle conseguenze. L’obiettivo, che sia il controllo
delle risorse minerarie o le rivendicazione di sacrosanti diritti,
diventa un idolo da raggiungere ad ogni costo. E il leader persegue
il proprio interesse egoistico nascondersi dietro gli interessi
nazionali. Il caso peggiore è il Sud Sudan, dove due leader hanno
preso in ostaggio l’intero paese al servizio dei propri personali
interessi, trasformando la vita dei cittadini in un incubo.

Quando mi è capitato
di essere coinvolto in un paio di occasioni in “colloqui di
pace”,che i colloqui falliscono se i leader hanno a cuore solo il proprio
interesse e il proprio potere personale. Ai
leader non interessano più le conseguenze che le loro decisioni
possono avere per il popolo. Sono pronti a sacrificare senza
esitazione la vita di migliaia persone. Ora, dopo molti anni, mi
ricordo il commento di un anziano operatore umanitario americano in
Sudan che mi disse “Padre, ho sentito che sei coinvolto nei
colloqui di pace tra i nostri due ineffabili signori della guerra. In
bocca al lupo! Secondo me è tanto utile quanto spalar m**** in
salita”. Un po ‘volgare, ma saggio. Anche se, come cristiani,
siamo disposti a spalare qualsiasi cosa pur di servire la pace, e
mantenere aperte le possibilità di dialogo.

Sulla base
dell’interesse nazionale si inseriscono alleanze internazionali, gli
interessi economici delle grandi potenze e delle multinazionali
, in genere
petrolifere o minerarie, spesso esasperando e sfruttando le tensioni
locali, fornendo armi e creando situazioni difficilmente sanabili.
Sono il più grande ostacolo al raggiungimento della pace.

D’altra parte che
imporre la pace con la forza delle armi, o la coercizione
diplomatica, o il ricatto degli aiuti può dare solo i risultati a
breve termine. I nodi irrisolti si riproporranno, a volte con
modalità ancor più esasperate. Abbracciare la pace dopo anni di
guerra e di violenza implica un vero e proprio cambiamento del cuore,
un riconoscimento degli errori, un senso di pentimento. In caso
contrario, la violenza e la guerra tornano.

La pace non durerà
neanche se tutte le parti coinvolte non prendono parte al processo di
pace. Tutte le rimostranze di tutti devono devono essere ascoltate.
Tutti i diritti di tutti devono essere rispettati
, altrimenti le voci
represse torneranno a farsi sentire con più forza. Quando nel 2005
fu firmato il cosiddetto “accordo di pace globale” per porre fine
alla guerra civile dell’allora Sudan unito, erano stati coincolti solo alcuni degli attori
sulla scena politica e militare. I negoziatori si
rifiutarono di ammetterne altri, considerati irrilevanti. Quegli
attori “minori” avrebbero potuto essere un fattore stabilizzante,
invece ora stanno contribuendo al caos.

La violenza genera
altra violenza, si dice sempre. Dom Hélder Câmara, il vescovo
brasiliano difensore della giustizia e della pace durante la seconda
metà del secolo scorso, ha parlato di una “spirale di
violenza”. Solo la nonviolenza può spezzare la spirale della
violenza.
“Nonviolenza” è diversa da “non violenza”.
Quest’ultimo indica semplice assenza di violenza, mentre la
nonviolenza  prevede un processo
attivo di costruzione della pace, e di educazione alla pace.

Quando gli interessi
personali e nazionali prevalgono il perdente è l’interesse comune, o
diremmo con Papa Francesco, il bene comune, il bene di tutti. In
questi giorni di globalizzazione, il bene comune significa il bene di
tutta l’umanità, il bene di tutto il mondo.

La costruzione
della pace è un processo permanente. Non è sufficiente un
cambiamento del cuore di tutte le parti, o di un’intera nazione. Il
cuore umano è tale che se un granello di odio rimane nascosto, prima
o poi crescere di nuovo come un albero velenoso. Una pace duratura
richiede un impegno costante, l’educazione ai diritti umani, il
rispetto per gli altri, la dedizione al bene comune.

Noi cristiani siamo
chiamati da Gesù ad essere operatori di pace, abbiamo una speciale
responsabilità. Come chiesa abbiamo una straordinaria capacità di
raggiungere il cuore delle persone e di educare alla pace.

I marciatori sono ormai
quasi tutti arrivati sulla Rocca sopra Assisi dove sarà lanciato un
ultimo appello per la pace, prima che si disperdano. La bambina è
ancora accanto, e mi scruta con occhi curiosi. Certamente sta per
ripropormi la domanda iniziale. Cosa le posso dire? “Lascia
perdere i numeri, quarda le persone. Se tu ed io continuiamo a camminare sulla
via della pace un giorno non ci saranno più guerre.”

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