Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
Home » Senza categoria

Caffè e diritti umani

In Burundi la privatizzazione dell'industria del caffè potrebbe mettere in ginocchio l'economia locale

Di Ernesto Clausi
Pubblicato il 20 Apr. 2013 alle 14:22

Le Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme. A rischio sono le condizioni di vita di circa settecentocinquantamila famiglie, oltre metà della popolazione in Burundi, la cui unica fonte di reddito è il commercio del caffè.

Con un comunicato Olivier De Schutter, relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto all’alimentazione, e Cephas Lumina, esperto indipendente sul debito estero e per i diritti umani hanno chiesto la sospensione del programma di privatizzazione dell’industrià del caffè in Burundi. E sollecitato un’analisi accurata dell’impatto che tale processo avrebbe sui diritti umani dei coltivatori burundesi.

Il caffè è il principale prodotto del Paese (e peraltro è di ottima qualità). Gli introiti derivanti dal suo commercio raggiungono l’ottanta per cento del volume delle esportazioni.

Il Burundi, stando ai dati delle Nazioni Unite, è il terzo paese più povero al mondo. Due terzi della popolazione vive sotto la soglia di povertà, più della metà soffre di malnutrizione cronica. Tra i fattori principali la corruzione, l’analfabetismo e l’elevato tasso di persone affette da Aids. Il Paese non ha sbocchi sul mare, e ciò contribuisce a limitarne le capacità commerciali. Una lunga guerra civile, iniziata nel 1993 e protrattasi per quasi quindici anni, ha devastato la nazione.

Nel 2007 il Presidente Nkurunziza aveva dichiarato che, fino al momento dell’esportazione, il caffè sarebbe rimasto di proprietà dei coltivatori. I quali avrebbero goduto del settantadue per cento degli introiti derivanti dalla vendita sui mercati internazionali. Ma nel biennio successivo il Governo ha accelerato la strada della privatizzazione. La Banca Mondiale avrebbe incoraggiato questa politica, legando a questa riforma i finanziamenti per programmi relativi alla sanità. Da allora, meno del cinque per cento del caffè prodotto è stato trasformato nel Paese.

“Gli Stati non confondano le priorità nazionali con gli interessi delle multinazionali”, hanno dichiarato i due esperti in food security. “La Banca Mondiale deve supportare i Governi centrali nell’attuazione di riforme economiche mettendo al riparo i piccoli coltivatori dalle incertezze e dalle fluttuazioni del mercato.” Inoltre nel documento si esprime preoccupazione perchè l’ente monetario internazionale non terrebbe in considerazione i diritti umani nell’applicazione delle sue politiche economiche.

Il comunicato emesso a Ginevra invita a non ripetere gli errori e le politiche del passato. Negli anni 80′ e 90′, i governi dei Paesi in via di sviluppo iniziarono a vendere le imprese pubbliche, senza tener conto delle conseguenze sociali.

Oggi il mercato del caffè, fonte di sostentamento principale in molti Paesi in via di sviluppo, è in mano a poche multinazionali. Emblematico fu nel 2006 il caso dell‘Etiopia, con una controversia tra il gigante economico Starbucks Coffee Company e l’organizzazione non governativa Oxfam su brevetti, licenze e diritti di sfruttamento negati al Governo di Addis Abeba.

Leggi l'articolo originale su TPI.it
Mostra tutto
Exit mobile version