Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
Home » Scienza

I ricchi si vaccinano, i poveri aspettano: tutti i dati sulla disuguaglianza dell’immunizzazione

Mentre la campagna vaccinale procede alacremente in alcuni Paesi del mondo, in molti altri la prima dose è stata somministrata a meno dell’1% della popolazione. Ma lasciare che il virus continui a diffondersi significa mettere a rischio ulteriori vite e ritardare la fine della pandemia, per tutti

Di Vittoria Vardanega
Pubblicato il 21 Mag. 2021 alle 12:49 Aggiornato il 21 Mag. 2021 alle 17:39

Sono passati oltre cinque mesi da quando è stata somministrata la prima dose di vaccino anti-Covid19, dando il via alla più importante campagna vaccinale della storia. Da allora sono state inoculate oltre 1 miliardo e 400 milioni di dosi in tutto il mondo. Ma solo lo 0,3% di queste sono avvenute in Paesi a basso reddito, mentre più di 8 dosi su 10 sono state somministrate in Paesi a reddito alto o medio alto, come mostrato nella figura di seguito.

Questo è quanto denunciato già a fine aprile da Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Tuttavia questo dato non tiene in considerazione il numero di abitanti di ciascun gruppo di Paesi: se le percentuali riportate qui in alto rispecchiassero non solo la somministrazione dei vaccini, ma anche la distribuzione della popolazione mondiale, non ci sarebbe alcuna diseguaglianza. Anzi, in una situazione di perfetta eguaglianza, ciascun Paese, o gruppo di Paesi, avrebbe accesso a un numero di dosi esattamente proporzionale ai suoi abitanti.

Il problema è che non è così. Per inquadrare meglio questa diseguaglianza, confrontiamo i Paesi che si trovano agli estremi opposti nella classifica del PIL: quasi un decimo della popolazione mondiale vive nei Paesi più poveri (quelli definiti a basso reddito), e un altro decimo nei 27 con più alto PIL (un sottoinsieme dei Paesi più ricchi, tra tutti quelli definiti ad alto reddito). In una situazione di perfetta eguaglianza, circa il 10% di tutte le somministrazioni sarebbero avvenute in ciascuno di questi due gruppi.

Invece, come abbiamo appena visto, nel primo gruppo sono state somministrate solo lo 0,3% delle dosi mondiali, mentre nel secondo 100 volte di più (34,1%), ovvero circa un terzo di tutte le inoculazioni. In alcuni casi questa sproporzione è particolarmente evidente: negli Stati Uniti, ad esempio, vive il 4,3% della popolazione mondiale, ma 1 su 5 (19,5%) di tutte le dosi è stata somministrata in questo Paese.

La diseguaglianza è quindi descritta in maniera più precisa e corretta se consideriamo la popolazione di ciascun Paese, e non solo il numero assoluto di dosi. Come nella mappa di seguito, che riporta il numero di dosi somministrate per 100 abitanti (considerando l’intera popolazione, non solo gli adulti, come invece fanno altre statistiche ufficiali, tra cui quelle del Regno Unito).

Per completezza, bisogna notare che in alcuni Paesi a basso reddito non sono state somministrate tutte le dosi disponibili. Prendiamo il caso del continente africano, dove la maggior parte dei Paesi ha ricevuto dosi tramite l’iniziativa Covax (di cui parleremo più avanti): 8 di questi hanno già esaurito le scorte, e non possono quindi procedere con le vaccinazioni fino a fine maggio o giugno, quando dovrebbero riceverne altre.

Nove Paesi, invece, hanno somministrato meno di un quarto delle dosi ricevute, e altri 15 meno della metà. La mancanza di personale sanitario e infrastrutture adeguate spiega in parte perché la campagna proceda a rilento.

Alcuni esperti e politici ritengono che un generale scetticismo sull’efficacia dei vaccini e timori relativi alla loro sicurezza svolgano un ruolo in questo senso, anche se è difficile da quantificare. Nonostante questo, il principale problema delle campagne vaccinali nei Paesi a basso reddito rimane la scarsa disponibilità di vaccini, dovuta alla diseguale distribuzione degli stessi tra i vari Paesi del mondo.

Perché dovrebbe importarci?

Oltre che per ragioni etiche, aumentare la disponibilità di vaccini in Paesi che finora sono riusciti a ottenerne un numero limitato conviene anche a chi, al contrario, ha già vaccinato gran parte della popolazione. Sappiamo infatti che più a lungo il virus continuerà a diffondersi, più muterà, dando vita a nuove varianti contro le quali i vaccini esistenti potrebbero rivelarsi meno efficaci, mettendo a rischio ulteriori vite e ritardando la fine della pandemia, per tutti.

Come si è arrivati a una diseguale distribuzione di vaccini?

Lo sviluppo di un nuovo vaccino comporta progetti molto lunghi, costosi, e con basse probabilità di successo. Anche per questo, prima del Covid19 il mercato dei vaccini era dominato da quattro grandi case farmaceutiche (GlaxoSmithKline, Merck, Pfizer e Sanofi), che da sole vendevano il 90% di tutti i vaccini acquistati a livello globale. Ma la pandemia ha drasticamente cambiato questo scenario: la prospettiva di una domanda di vaccini pressoché infinita, l’urgenza della richiesta e gli ingenti investimenti esterni hanno spinto moltissime compagnie a studiare un vaccino anti-Covid19.

Basi pensare che attualmente ce ne sono 283 in fase di sperimentazione clinica (99), o preclinica (184). Molti Paesi ad alto reddito hanno finanziato più di un progetto di vaccino, e spesso, come parte dell’accordo, l’investimento includeva l’acquisto anticipato di un certo numero di dosi.

Grazie a questi accordi, alcuni Paesi hanno ordinato dosi sufficienti a vaccinare la loro intera popolazione diverse volte. È questo il caso del Canada, che con oltre 10 dosi per abitanti, potrebbe vaccinare tutti i residenti più di 5 volte, ma anche il Regno Unito (più di 4 volte), l’Unione Europea e gli Stati Uniti (più di 2) e altri, come mostrato nella figura in basso.

Dal punto di vista del singolo Paese questa strategia ha il merito di assicurarsi che ci siano dosi sufficienti per i propri abitanti, anche se alcuni dei vaccini comprati in anticipo non dovessero mai arrivare sul mercato. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno preordinato oltre 300 milioni di dosi del vaccino prodotto da AstraZeneca, che non ha ancora ricevuto l’autorizzazione dall’autorità nazionale competente (la Food and Drug Administration).

I Paesi a reddito basso e medio-basso tuttavia non possono permettersi investimenti così ingenti e soprattutto così rischiosi, e devono quindi aspettare che i vaccini raggiungano la commercializzazione prima di procedere all’acquisto. A quel punto, però, i loro ordini risultano “in coda” rispetto ai Paesi che li avevano richiesti diversi mesi prima.

È soprattutto per questo che, mentre in alcuni Paesi le campagne vaccinali procedono spedite e il rischio di infezione diminuisce, in altri, tra cui l’India, si continuano a registrare un numero altissimo di nuove infezioni e decessi. Questa situazione è esattamente ciò che si è cercato di prevenire tramite l’istituzione di Covax ad aprile 2020, un’iniziativa coordinata da tre organizzazioni, tra cui l’Oms.

Come dovrebbe funzionare Covax

L’obiettivo di Cvoax è “accelerare lo sviluppo e la produzione di vaccini anti-Covid19, e garantirne l’acceso equo e giusto a tutti i Paesi del mondo”. L’organizzazione dovrebbe agire come un intermediario tra i Paesi e le compagnie farmaceutiche durante l’intera catena produttiva, dall’investimento in ricerca e sviluppo alla distribuzione delle dosi. Il suo funzionamento, o perlomeno il modo in cui dovrebbe funzionare, si può dividere in due fasi.

Inizialmente, i Paesi ad alto reddito, invece che finanziare direttamente le compagnie farmaceutiche, finanziano Covax. L’organizzazione utilizza questi fondi per investire nello sviluppo di più vaccini contemporaneamente, il che riduce il rischio dell’investimento, dal momento che il fallimento di un candidato non comporta una completa perdita.

Covax poi negozia accordi globali con le compagnie produttrici; disponendo di un potere di acquisto molto forte e del (quasi) monopolio della domanda, il prezzo dei vaccini risulterebbe più basso di quello che un singolo Paese riuscirebbe a negoziare, ed è per questo che Covax conviene anche ai Paesi ad alto reddito.

Durante la seconda fase, Covax acquista vaccini per i Paesi a medio e basso reddito, grazie a donazioni che provengono da governi di Stati più ricchi, ma anche fondazioni filantropiche ed organizzazioni internazionali. Infine, una volta che i vaccini diventano disponibili, Covax li distribuisce equamente a tutti i Paesi.

Covax tuttavia può funzionare come descritto qui in alto solo se la maggior parte degli stati, e soprattutto quelli ad alto reddito, decide di partecipare al programma: è questo che permette all’organizzazione di finanziare lo sviluppo di diversi vaccini.

Ma quando Covax è stata istituita, diversi Paesi avevano già cominciato a negoziare accordi bilaterali con le case farmaceutiche. L’organizzazione non ha quindi svolto pienamente il suo ruolo di intermediario tra Paesi e compagnie, e quando i vaccini sono diventati disponibili, chi aveva già preordinato dosi ha avuto la precedenza nella distribuzione, scavalcando il principio di distribuzione “equa e giusta” di Covax.

I Paesi ad alto reddito hanno comunque partecipato alla “fase 2” dell’iniziativa, donando ingenti somme che permettono all’organizzazione di comprare vaccini. I principali finanziatori sono gli Stati Uniti con 4 miliardi di dollari, l’Unione Europea con 2,2 miliardi di euro e il Regno Unito con oltre 500 milioni di sterline. Grazie a queste donazioni Covax ha distribuito oltre 49 milioni di dosi in più di 100 economie, ma per chiudere il divario tra i livelli di vaccinazione tra i vari Paesi del mondo, come dimostrano i dati, c’è ancora molta strada da fare.

Ultimi sviluppi negli Stati Uniti

Quando l’amministrazione Biden ha annunciato il suo appoggio alla proposta di sospensione dei brevetti relativi ai vaccini anti-Covid19, molti commentatori hanno sottolineato come sovvenzionare Covax rappresenti un metodo più rapido ed efficace per aumentare la disponibilità di vaccini in Paesi a basso reddito, e come gli Stati Uniti non abbiano ancora esportato alcuna dose prodotta nel Paese.

Forse anche in risposta alla pressione dell’opinione pubblica, Biden ha annunciato il 17 maggio che gli Stati Uniti si impegnano a condividere con il resto del mondo 20 milioni di dosi dei vaccini prodotti da Moderna, Pfizer e Johnson&Johnson. Il Paese aveva già promesso 60 milioni di dosi del vaccino di AstraZeneca, che però non è ancora stato autorizzato dall’FDA, come notato precedentemente. Biden ha dichiarato che queste 80 milioni di dosi verranno donate e distribuite entro la fine di giugno.

Leggi l'articolo originale su TPI.it
Mostra tutto
Exit mobile version