Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
  • Esteri
  • Home » Esteri

    Svezia, i figli dei rifugiati ridotti in coma per colpa di una particolare sindrome

    Da 20 anni una pericolosa sindrome colpisce i bambini arrivati in Svezia da rifugiati e gli esperti stanno ancora studiando il fenomeno

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 20 Feb. 2018 alle 11:30 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 20:20

    La Svezia è uno dei paesi europei che ha accolto più rifugiati. Nel 2015 sono arrivati 163mila richiedenti asilo in pochi mesi; 36mila minori non accompagnati, più della metà afghani. 

    Questa notizia puoi leggerla direttamente sul tuo Messenger di Facebook. Ecco come

    Tuttavia, lo spettro del rimpatrio ha fatto sorgere una particolare sindrome che da circa 20 anni colpisce i figli dei rifugiati con manifestazioni allarmanti: alcuni dei bambini sono entrati in uno stato di coma, una sorta di disconnessione dal mondo reale, dopo aver scoperto che alla propria famiglia è stato negata la richiesta d’asilo e che potrebbe essere loro negata in futuro.

    A esserne colpiti sono soprattutto i bambini provenienti dai paesi ex sovietici, dall’ex Jugoslavia o dalla minoranza Yazidi.

    Gli esperti non hanno ancora scoperto con certezza quale sia la causa di questo fenomeno, denominato come “sindrome della rassegnazione“, o uppgivenhetssyndrom, in svedese.

    Si pensa che questo fenomeno possa essere di natura psicologica, probabilmente correlato a episodi di trauma e di forte stress causato da tutte le esperienze negative che hanno dovuto vivere queste famiglie, una sorta di meccanismo di difesa.

    Nel 2016 sono stati ben 169 i casi in cui i figli dei rifugiati sono stati colpiti da questa sorta di disconnessione dal mondo reale. Tutti riscontrati in Svezia.

    I casi sono stati documentati anche dal fotografo Magnus Wennman, le cui immagini sono tra le finaliste del World Press Photo.

    Sono bambini arrivati piccoli, o molto piccoli, in Svezia, cresciuti imparando una lingua e una cultura spesso molto differenti da quella dei genitori, e oppressi da una burocrazia stringente che rischia di rispedirli indietro.

    Alcuni scettici, però, hanno diffuso la teoria secondo cui i bambini sarebbero indotti dai loro stessi familiari ad agire in questo modo per evitare di tornare nel paese di origine.

    Ma gli studi condotti finora negano questa possibilità e parlano più di una “psicogenesi culturale”, ossia un fenomeno imitativo.

    Anche la Bbc aveva documentato i casi dei bambini affetti da questa pericolosa sindrome, raccontando la storia di Sophie, una bambina di nove anni che si muove grazie ad una sedia a rotelle.

    Sophie è una disconnessa dal mondo nonostante l’apparente benessere. Da quasi 20 mesi è nutrita attraverso il tubo trasparente collegato al naso e, sotto la sua tuta, indossa un pannolino.

    Lei e la sua famiglia sono richiedenti asilo dall’ex Unione Sovietica e sono arrivati in Svezia nel dicembre 2015, dove abitano negli alloggi destinati ai rifugiati.

    “Quando spiego ai suoi genitori cosa è accaduto, gli racconto che il mondo è stato così terribile che Sophie si è scontrata e disconnessa con la parte cosciente del suo cervello”, spiega la dottoressa Hultcrantz,volontaria dei Doctors of the World.

    Una malattia, un trauma che porta questi bambini a “ritirarsi” dal mondo: avendo assistito ad una violenza estrema, in particolare nei confronti dei genitori, o che sono fuggiti da un ambiente insicuro, sono diventati molto più vulnerabili.

    E la storia della famiglia di Sophie rientra in queste categorie, con i suoi genitori perseguitati dalla mafia locale dell’ex URSS.

    Leggi l'articolo originale su TPI.it
    Mostra tutto
    Exit mobile version