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La legge sull’aborto in Italia compie 41 anni

Il 22 maggio 1978 veniva approvata la legge sull'aborto

Il 22 maggio 1978 veniva approvata la legge che decriminalizzava l'accesso all'aborto. Cos'è cambiato da allora? Una panoramica sull'aborto in Italia, con dati, numeri e mappe

Di Laura Melissari
Pubblicato il 22 Mag. 2018 alle 09:40 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 01:21

Il 22 maggio 1978 in Italia veniva approvata la legge 194 che legalizzava l’aborto volontario. Da quel giorno di quarantuno anni fa, migliaia di donne in Italia poterono abortire legalmente, non ricorrendo a pericolose pratiche clandestine.

La legge

La legge 22 maggio 1978, n.194, dal titolo “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, è la legge che 40 anni fa ha decriminalizzato e disciplinato l’accesso all’aborto.

Prima di allora infatti, l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), in qualsiasi sua forma, era considerata dal codice penale italiano un reato, con gli articoli 545 e seguenti.

Negli anni precedenti al 1978, la battaglia per il diritto all’aborto venne portata avanti dai partiti di sinistra (PCI, PSI, PSDI), dai partiti liberal-capitalisti (PRI, PLI), e dal Partito Radicale, oltre che da numerose associazioni civili, come ad esempio dal Centro d’informazione sulla sterilizzazione e sull’aborto (CISA) e in particolare dalla sua segretaria Adele Faccio.

La 194 consente alla donna, di ricorrere alla IVG in una struttura pubblica (ospedale o poliambulatorio convenzionato con la Regione di appartenenza), nei primi 90 giorni di gestazione; tra il quarto e quinto mese è possibile ricorrere alla IVG solo per motivi di natura terapeutica.

Il referendum

Il 17 maggio 1981 la legge fu sottoposta a referendum abrogativo. La 194 fu confermata con il 68 per cento dei voti contrari all’abrogazione della norma. Il referendum fu proposto dal Movimento per la vita di matrice cattolica, e puntava ad abrogare ogni circostanza ed ogni modalità dell’interruzione volontaria della gravidanza, previste dalla legge 194.

Tra i quesiti referendari di quel 17 maggio ve ne erano anche altri, di cui uno sulla legge 194, proposto dai radicali, ma di matrice opposta, che voleva ampliare la legge sull’aborto e ampliare le possibilità di abortire. In entrambi i casi prevalsero i no e la legge 194 non venne modificata.

Il referendum sull’aborto divise in maniera molto forte l’opinione pubblica italiana e le campagne per il sì e per il no furono molto accese.

Metodi per abortire

I metodi per procedere con l’aborto sono due: tramite intervento in una struttura pubblica, o con la pillola RU-486, un trattamento non invasivo che prevede, tramite l’assunzione della pillola e la reazione chimica ad essa dovuta, il distacco del feto dall’utero.

L’IVG chirurgica, chiamata anche IVG per aspirazione, si esegue in una struttura ospedaliera, pubblica o privata. Dura circa quindici minuti e la maggior parte delle volte ha bisogno solo di qualche ora di ricovero.

Per quanto riguarda invece l’IVG farmacologica, in Italia l’uso della pillola RU-486 è stato autorizzato nel 2009.

Il principio attivo di quella che viene comunemente chiamata pillola abortiva è il mifepristone, una sostanza in grado di indurre chimicamente il distacco del feto dall’utero materno grazie alla combinazione con il Gemeprost (classificato come prostaglandina) che fa espellere dal corpo il feto.

La pillola nasce in Francia nei laboratori di un’azienda farmaceutica chiamata Roussel Uclaf, dalle cui iniziali si è preso spunto per il nome della pillola, RU-486.

Secondo la legge l’interruzione di gravidanza si pratica anche dopo il decorrere dei novanta giorni canonici per due casi specifici:

Quando la gravidanza e il parto comportano un grave pericolo per la vita della donna o quando sono presenti processi patologici, compresi quelli relativi a malformazioni o malattie del nascituro, che determinano un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

Se l’Ivg entro i primi 3 mesi può essere effettuata in day hospital, quella terapeutica ha bisogno del ricovero ospedaliero e della presenza di medici non obiettori strutturati.

I dati sull’aborto in Italia

Negli ultimi anni il trend del ricorso all’aborto è nettamente calato. Lo confermano i dati riportati nella Relazione del Ministro della salute del 2017 sulla attuazione della legge 194.

Nel 2016 il numero di interruzioni di gravidanza volontarie è stato pari a 84.926. Per il terzo anno di seguito il numero totale è stato inferiore a 100.000, più che dimezzato rispetto ai 234.801 del 1982, anno in cui si è riscontrato il valore più alto in Italia.

Secondo la relazione del Ministero della Salute sull’attuazione della legge 194,in Italia solo il 15 per cento delle IVG avviene con la RU486.

Se si prendono in considerazione le sole cittadine di nazionalità italiana, per la prima volta il valore scende al di sotto di 60mila. Dal 1982 a oggi la riduzione è stata del 74.7 per cento, passando da 234.801 aborti ai 59.423 del 2016.

Il tasso di abortività (numero di interruzioni di gravidanza per 1000 donne tra 15 e 49 anni), che rappresenta l’indicatore più accurato sul fenomeno, è stato 6.5 per 1000 nel 2016, rispetto a 6.6 nel 2015, con una riduzione dell’1.7 per cento. Il dato italiano rimane tra i valori più bassi a livello internazionale.

Obiezione di coscienza in Italia

A quarantuno anni dalla sua adozione, il pieno accesso all’interruzione volontaria di gravidanza come prevista dalla legge resta ancora da garantire.

Per quanto riguarda l’obiezione di coscienza, il numero dei ginecologi obiettori è passato dal 58.7 per cento del 2005, al 70.9 per cento del 2016, con un graduale ma costante aumento negli anni.

Un aumento si è registrato anche tra gli anestesisti obiettori: più 1,3 per cento, passando dal 47,5 al 48,8 per cento.

Forti differenze tra regioni: in Molise si raggiunge il 96,6 per cento tra i ginecologi, in Basilicata l’88,1 per cento, in Puglia l’86,1 per cento, in Abruzzo l’85,2.

L’11 aprile 2016, il Comitato europeo dei diritti sociali, un organismo del Consiglio d’Europa, ha condannato l’Italia per aver violato il diritto alla salute delle donne che vogliono abortire, riconoscendo che esse incontrano “notevoli difficoltà” nell’accesso ai servizi d’interruzione di gravidanza, anche per l’alto numero di medici obiettori di coscienza.

Qui un quadro della situazione italiana sull’interruzione di gravidanza con le testimonianze di medici obiettori e non obiettori sui dati e sulle difficoltà delle donne. 

La mappa del diritto all’aborto nel mondo

La legislazione sull’aborto, inteso come interruzione volontaria di gravidanza, è estremamente variegata nel mondo.

Ai due estremi troviamo 61 paesi in cui l’aborto è sempre permesso – entro un certo periodo di tempo durante la gravidanza – e quelli in cui è vietato in ogni circostanza, che sono cinque. In mezzo, una serie di eccezioni.

Negli Stati Uniti diversi stati hanno emanato negli ultimi mesi leggi fortemente restrittive sul diritto d’aborto [ne abbiamo parlato qui].

L’Organizzazione mondiale della sanità ha individuato i casi in cui, nei paesi che non tutelano il diritto all’aborto nella sua interezza, è permesso comunque interrompere la gravidanza.

Queste condizioni sono i rischi per la vita della madre e per la sua salute fisica e mentale, i casi di stupro o incesto, le anomalie del feto che rendono impossibile portare a termine la gravidanza e motivazioni socio-economiche.

La combinazione di questi fattori restituisce la grande varietà delle leggi adottate dai singoli paesi sul tema.

Sono tanti gli elementi che storicamente hanno influito sui vari percorsi legislativi in merito all’aborto, da quelli religiosi a quelli etici, passando per quelli di natura politica e pragmatica.

Resta il fatto che anche quando non è espressamente permesso – o è punibile la sua pratica – l’aborto viene praticato in maniera illegale e clandestina, esponendo le madri a rischi enormi per la loro salute fisica e mentale.

La maggior parte dei paesi in cui l’aborto è sempre consentito si trovano in Europa. Città del Vaticano e Malta sono i due paesi che per legge vietano categoricamente l’aborto in ogni caso.

Poi troviamo paesi come San Marino, Liechtenstein, Andorra e Irlanda e Irlanda del Nord – esplicitamente esclusa dall’Abortion act del 1967 che invece riguarda Inghilterra, Scozia e Galles – che hanno severe limitazioni al diritto di interruzione di gravidanza, seguite da paesi come Finlandia, Polonia, Islanda e Monaco in cui la legge pone dei limiti, seppur non severi come in altri stati.

In Italia l’aborto è legale dal 1978, quando fu approvata la legge 194 che prevedeva l’abrogazione degli articoli del codice penale riguardanti i reati d’aborto.

È possibile interrompere la gravidanza entro 90 giorni dall’inizio della gestazione oppure tra il quarto e quinto mese solo per motivi di natura terapeutica. Due anni dopo fu indotto un referendum per cancellare tale legge ma il No vinse in larghissima misura (88 per cento), mantenendo la legge in vigore.

Negli Stati Uniti, a causa di Trump, il diritto delle donne all’aborto è sotto attacco

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