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    Taglio parlamentari, il No di Prodi e il Sì di Letta: nel Pd divisi anche i padri nobili

    Romano Prodi ed Enrico Letta
    Di Angelica Pansa
    Pubblicato il 30 Ago. 2020 alle 06:52

    Referendum taglio parlamentari, il “No” di Prodi e il “Sì” di Letta: guerra fredda nel Pd

    Settembre è alle porte e si avvicina la fatidica data del “Sì o No”. Il 20 e 21 settembre l’Italia è chiamata alle urne per decidere di confermare, o meno, il testo di legge approvato in Parlamento lo scorso 8 ottobre 2019 sulla riduzione del numero dei parlamentari: da 945 a 600. E se gli elettori mostrano un crescente disorientamento sul voto certo all’interno dei partiti la situazione non è diversa. E il Pd troneggia il fronte degli indecisi con un esercito tutt’altro che coeso: il Partito, si direbbe, è lacerato con i suoi padri nobili diametralmente schierati e distanze incolmabili tra i leader più o meno recenti, nella battaglia anti-casta.

    Un sì senza se e senza ma quello dell’ex premier Enrico Letta alla riforma costituzionale: “Al referendum voterò sì, lo ribadisco con forza, perché mi sono impegnato a far nascere il percorso delle riforme e perché ne sono convinto”. Lo ha detto intervenendo a Cesenatico alla presentazione della Summer School nell’ambito della Scuola di Politiche da lui stesso fondata e diretta da Marco Meloni.

    Con lui si schiera l’ex segretario del partito, Pier Luigi Bersani, che da sempre propone la riduzione dei parlamentari, “non certo per antiparlamentarismo, ma per l’efficienza e l’autorevolezza della rappresentanza”. Il predecessore di Zingaretti, in un lungo post sulla sua pagina Facebook, si dice inoltre molto preoccupato per l’incertezza che sta dilaniando il Pd davanti all’appuntamento referendario e lancia un monito: “Nella storia d’Italia – ha spiegato – tutte le volte che forze democratiche non hanno compreso di dover trasformare una controversa prossimità in un progetto e in un campo comune, hanno lasciato strada libera alle destre, da tragedia o da operetta che fossero”.

    Di fazione e pensiero opposti un’altro padre fondatore: Romano Prodi, che ha detto un secco “no” al taglio dei parlamentari, “punta dell’iceberg” e specchio per le allodole che distoglie l’attenzione dell’elettorato da “ben più urgenti e decisive riforme necessarie per il futuro del nostro Paese”. “Il vero problema – scrive l’ex premier in un editoriale pubblicato sulle pagine de Il Messaggero in cui spiega le sue motivazioni – non sta infatti nel numero, ma nel modo in cui i parlamentari vengono eletti”. Per l’ex premier, dunque, le priorità sono altre, come lavorare sulle funzioni delle due Camere, sul modo in cui operano le commissioni, sui rapporti tra Parlamento e Governo. “Se vogliamo raggiungere l’obiettivo di rendere il Parlamento autorevole e responsabile verso i cittadini, occorre quindi fare ogni sforzo per orientarsi verso un sistema elettorale in cui i partiti, su cui grava la responsabilità di indicare i candidati alle elezioni, siano spinti a scegliere persone che, per la loro autorevolezza e per la stima di cui godono, abbiano maggiore probabilità di essere votate dagli elettori del collegio con il quale dovranno mantenere rapporti continuativi per tutto il corso della legislatura”.

    Fedele prodiana anche Rosy Bindi, che ha firmato un appello promosso da Mimmo Lucà (condiviso tra gli altri da ex parlamentari come Paolo Corsini, Silvia Costa, Gero Grassi e Vidmer Mercatali) in cui il taglio di 345 parlamentari eletti viene definito “una legge indigeribile e del tutto inutile, la cui volontà si deve al populismo e all’antiparlamentarismo del M5S e della destra sovranità”. L’ex ministro esprime un “no pieno e convinto“. “Sbagliò Renzi nel 2016 a mettere in gioco palazzo Chigi, sbaglia oggi chi antepone la sorte del governo ai propri valori costituzionali” ha dichiarato la presidente della Commissione parlamentare antimafia.

    Insomma, l’avvicinarsi al voto sta mandando in tilt il Pd, orfano completamente di una posizione unica. E In questo quadro sempre più impervio per Zingaretti- e pochi giorni dalla Direzione dem- il vicesegretario Andrea Orlando tenta un ultimo appello alla coesione: “Io sosterrò il Sì, mi auguro che emerga una posizione unitaria”. Un dramma che giorno dopo giorno assume sempre di più le sembianze di una tragedia collettiva. Chissà se il Partito ne uscirà vivo.

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