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    “Vi spiego cosa c’è dietro il mondo delle lobby in Europa”

    “Le mazzette agli eurodeputati svelano la debolezza di una politica che si fa dettare le leggi da multinazionali, sindacati e Stati esteri. Urge una regolamentazione”. Colloquio col direttore di The Good Lobby

    Di Enrico Mingori
    Pubblicato il 23 Dic. 2022 alle 07:00

    «Lo scandalo Qatargate dimostra quanto sia importante regolamentare l’attività delle lobby. Prendete il caso di Antonio Panzeri: la legge dovrebbe vietare a un europarlamentare, una volta concluso il suo mandato, di diventare immediatamente un lobbista. Ma fra lobbying e corruzione c’è un confine molto netto». 

    Federico Anghelé, direttore di The Good Lobby Italia, prima di analizzare la tangentopoli scoperta fra Doha e Bruxelles, spieghiamo: cos’è The Good Lobby?
    «È un’organizzazione non-profit paneuropea che ha sede in Belgio, Italia, Francia e Spagna e che si occupa di democratizzare l’accesso al potere».

    Più concretamente?
    «Promuoviamo quello che noi chiamiamo “lobbying civico”: ossia sviluppare la capacità del terzo settore e della cittadinanza di inserirsi nei processi decisionali pubblici. Ad esempio chiediamo una legge sul lobbying e sul conflitto d’interessi».

    Siete una lobby che chiede di regolamentare le lobby? Curioso…
    «Siamo una lobby di cittadini: portiamo avanti iniziative che, pur rappresentando interessi generali, non sono portate avanti dalla politica».

    Quando e come è nata The Good Lobby?
    «Nel 2015 a Bruxelles. L’ha fondata Alberto Alemanno, professore di Diritto europeo all’Hec di Parigi. Siamo in Italia dal 2019: oggi non siamo più un’organizzazione di volontari, ma un ente non-profit composto da professionisti».

    Come vi finanziate?
    «I nostri bilanci sono pubblici. Ci finanziamo attraverso progetti europei e filantropia da parte di fondazioni o singoli individui».

    Qualche nome?
    «Cariplo, la Compagnia di Sanpaolo, la Open Society Foundation…».

    La “famigerata” Open Society di Soros?
    (Ride) «Sì, proprio quella».

    Chi è Federico Anghelé?
    «Ho un passato da ricercatore, con studi fra la storia e la scienza politica. A un certo punto mi sono sentito chiamato all’azione: per anni mi sono occupato come attivista di lotta alla corruzione, poi mi sono appassionato di lobbying come strumento di partecipazione alla vita politica».

    Definisca il concetto di lobby.
    «Una lobby è un gruppo di pressione portatore di interessi più o meno particolari: può essere un’azienda, un’associazione di categoria, un sindacato, un’organizzazione non-profit. Fare lobbying significa rappresentare quegli interessi e tentare di influenzare i processi decisionali. È uno strumento che è più forte laddove i partiti svolgono meno il loro ruolo di cinghia di trasmissione fra la società e le istituzioni».

    Quanto peso hanno le lobby nelle decisioni politiche?
    «In Italia purtroppo non lo possiamo sapere, perché non abbiamo strumenti di trasparenza».

    E in Europa?
    «In sede europea qualche strumento c’è: un commissario può incontrare solo i lobbisti iscritti al “registro della trasparenza” e deve rendicontare questi colloqui sulla “agenda degli incontri”. Per converso, un’azienda come Stellantis deve segnalare sul registro della trasparenza quali sono i dossier che ha seguito e quali risorse ha messo in campo per l’attività di lobbying».

    Queste regole però non sono bastate a evitare lo scandalo Qatargate.
    «Questa vicenda ha evidenziato una serie di falle sul piano delle regole europee che già da tempo organizzazioni come la nostra avevano evidenziato».

    Ad esempio?
    «Ad esempio il fatto che il registro della trasparenza e l’agenda degli incontri siano obbligatori per i commissari e gli altri dirigenti della Commissione ma non per gli europarlamentari. Oppure il tema delle porte girevoli: non c’è una regola che vieti a un ex parlamentare, una volta terminato il proprio mandato, di assumere immediatamente un incarico privato da lobbista. È chiaro che quell’ex parlamentare si avvantaggerà di una rete di relazioni e avrà una conoscenza diretta molto calda di certi dossier; andrebbe previsto un periodo di “raffreddamento” da uno a tre anni a seconda delle responsabilità avute».

    Altre situazioni rischiose?
    «I parlamentari possono svolgere anche altre attività oltre a quella istituzionale: ad esempio un avvocato d’affari che fa il parlamentare può avere come cliente un soggetto che cerca di influenzare una politica pubblica del parlamento. E ancora: non esiste uno specifico registro di chi esercita influenza per conto degli Stati esteri».

    Il fatto che il senatore Renzi faccia parte del board di un ente sovrano dell’Arabia Saudita può configurare un caso di lobbying?
    «Quantomeno è una questione molto a rischio in termini di conflitto d’interessi. In Italia i codici di condotta di Camera e Senato non regolano minimamente questa questione, che evidentemente è molto problematica».

    E il fatto che la multinazionale McKinsey abbia contribuito con il Governo Draghi alla scrittura del Pnrr?
    «Anche in quel caso parlerei di potenziale conflitto d’interessi. McKinsey è una società di consulenza che avrà fra i propri clienti aziende che potrebbero beneficiare dei fondi del Pnrr».

    Il Qatargate è solo la punta dell’iceberg?
    «Questo non sono in grado di dirlo». 

    A molti è venuto naturale riflettere: questi li hanno scoperti, ma chissà quante di queste situazione non verremo mai a sapere…
    «Ecco perché servono regole chiare».

    Esistono lobby “buone”?
    «Portare avanti degli interessi è legittimo: non sta a me dire quali siano buoni o cattivi. Bisogna semmai vedere come questa attività viene svolta».

    Dov’è che finisce il lobbying e inizia la corruzione?
    «Il confine è molto ampio: i professionisti del lobbying si guardano bene dal fare un’attività indebita che potrebbe metterne in dubbio la reputazione». 

    È vero che molte proposte di legge e molti emendamenti sono scritti direttamente dai lobbisti?
    «Credo proprio di sì. Ma questo è anche il frutto dell’incapacità della politica: tanto più i politici sono permeabili, anche nella loro scarsa competenza, tanto più i lobbisti hanno possibilità di influenzarne le scelte».

    Sta dicendo che la politica oggi è soprattutto una lotta fra lobbisti dietro le quinte?
    «Il problema non è che esistano punti di vista diversi in conflitto fra loro, ma la mancanza di regolamentazione, perché ciò rende alcune lobby più forti di altre: se ad esempio una lobby può contare su ex politici, le sarà più facile riuscire a imporre il proprio punto di vista. E spesso a soccombere è l’interesse generale».

    Nella scorsa legislatura avete sostenuto un ddl per regolamentare le lobby in Italia.
    «Era un testo che sommava più proposte di legge: una del M5S, una di Italia Viva e una del Pd. Prevedeva l’introduzione di un registro di trasparenza, la definizione di cosa è lecito fare nell’attività di lobbying e chi la può svolgere. C’erano però anche alcune pecche: ad esempio, le agende degli incontri erano previste solo per i portatori d’interesse e non per politici; i sindacati e Confindustria non erano considerati lobbisti; e non c’era nessuna norma sulle porte girevoli per i parlamentari».

    L’approvazione è sfumata all’ultimo.
    «Era stata approvata alla Camera e mancava solo il sì del Senato, poi sono state sciolte le Camere.  Ma quel ddl era stato presentato a inizio legislatura: la politica ha impiegato quasi cinque anni per arrivare all’approvazione…».

    Tornerete alla carica in questa legislatura?
    «Sono già state depositate alcune proposte di legge. Del resto, tutte le istituzioni internazionali da anni raccomandano all’Italia di legiferare sul lobbying».

    Quali sono le lobby più potenti in Italia?
    «Le associazione di categoria sono molto potenti. Basti pensare, appunto, al fatto che quella proposta di legge escludesse dalla sua applicazione Confindustria». 

    Le lobby fanno pressioni anche contro la legge sulle lobby?
    «Direi proprio di sì. A parole sono tutti favorevoli alla trasparenza, ma poi quando una legge mette tutti sullo stesso piano c’è chi non è d’accordo».

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