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    La maggioranza si spacca sull’Ilva: quali sono le posizioni dei partiti sul futuro dell’acciaieria

    Mentre la politica litiga su posizioni diverse, restano appesi ad un filo 15mila dipendenti.

    Di Veronica Di Benedetto Montaccini
    Pubblicato il 6 Nov. 2019 alle 12:35 Aggiornato il 18 Nov. 2019 alle 16:25

    Ilva di Taranto, la maggioranza si divide

    ArcelorMittal ha annunciato il ritiro dall’accordo per l’acquisizione dell’Ilva. La notizia del 4 novembre ha stravolto il governo che adesso gioca partite diverse, con una maggioranza spaccata.

    Ilva di Taranto, le posizioni politiche in campo

    Giuseppe Conte richiama l’azienda e incontra i vertici per dare seguito agli obblighi del contratto e promette che il governo sarà “inflessibile sul rispetto degli impegni”. Il gruppo indiano ritiene però impossibile restare anche con il ripristino dello scudo penale. Ma la maggioranza non è d’accordo sul tema.

    Cinque Stelle non possono tornare indietro dopo essersi battuti per cancellare lo scudo penale (uno dei principali motivi per cui ArcelorMittal vuole lasciare Ilva). Italia Viva propone l’alternativa Jindal.

    Il Pd, invece, apre all’ipotesi cui si dichiara a favore Matteo Renzi. “Arcelor Mittal non trovi alibi a proposito di un piano industriale e di un piano ambientale che deve rispettare, rilanciando il sito e realizzando gli interventi di bonifica promessi. Chi inquina paga ma chi deve attuare un piano ambientale non può rispondere penalmente su responsabilità pregresse e non sue. Proporremo iniziative parlamentari in questo senso”, scandisce il segretario dem Nicola Zingaretti.

    Salvini, all’opposizione, sfrutta il momento per giocare il ruolo di difensore dei 15mila lavoratori che rischiano il licenziamento.

    Sullo sfondo, a recitare un ruolo secondario, ci sono i sindacati e Confindustria, che a una sola voce chiedono al governo di ripristinare l’immunità penale per Arcelor Mittal per garantire l’occupazione.

    Cosa sostiene l’Arcelor Mittal

    Per l’azienda, però, lo scudo aziendale non basta. Anche se “la protezione legale fosse ripristinata, non sarebbe possibile eseguire il contratto” in quanto c’è la possibilità che, per un provvedimento dell’autorità giudiziaria di Taranto, venga di nuovo spento l’altoforno 2 e “in tal caso dovrebbero essere spenti anche gli altiforni 1 e 4 in quanto, per motivi precauzionali, sarebbero loro egualmente applicabili le prescrizioni” del tribunale sull’automazione degli altiforni. Il contratto sull’Ilva di ArcelorMittal andrebbe considerato “risolto”.

    È quanto si legge nell’atto di citazione di ArcelorMittal all’Ilva in amministrazione straordinaria – depositato al tribunale di Milano – pubblicato questa sera dal sito del “Corriere del Giorno”, giornale on line di Taranto. Lo staff di legali di ArcelorMittal, come prima richiesta al Tribunale di Milano, fanno quella di dichiarare sciolto il contratto per l’Ilva di Taranto in quanto venendo meno la protezione legale, ArcelorMittal ha legittimamente esercitato il diritto di recesso.

    Il sospetto è che i vertici della multinazionale avessero già deciso di abbandonare Taranto, indipendentemente dallo scudo penale, e il Codacons si spinge persino oltre, annunciando una denuncia nei confronti dell’azienda per tentata estorsione nei confronti del governo.

    L’Ilva è lo specchio dei problemi del Sud

    Ma quelli emersi fino ad ora sull’Ilva sono solo alcune delle sfaccettature di cortocircuito politico presenti al Sud. In ballo c’è molto di più di una fabbrica: c’è l’assenza di un’idea di sviluppo per il Mezzogiorno, desertificato dall’emigrazione giovanile, come certificato dal rapporto Svimez, e la mancanza di politiche industriali per questo Paese. Una bomba sociale che rischia di condannare il Sud all’abbandono perenne.

    E mentre la politica litiga su posizioni contrastanti, a restare appesi ad un filo sono i 15mila dipendenti dell’ex Ilva.

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