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    PD e M5s devono allearsi o verranno schiacciati da Salvini: le elezioni in Spagna lo dimostrano

    Nicola Zingaretti, Pedro Sanchez e Luigi Di Maio
    Di Luca Telese
    Pubblicato il 29 Apr. 2019 alle 11:44 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 20:35

    Quella che ci consegnano le urne spagnole è una lezione molto semplice. Nelle elezioni politiche hanno vinto due forze: una sinistra che (ora) fa la sinistra, il Psoe, e una destra che fa la destra, il Vox.

    E poi c’è un altro dato, che forse è ancora più importante: la sinistra che fa la sinistra sfiora il 30 per cento, la destra che fa la destra prende poco più del 10 per cento.

    La sinistra che fa la sinistra ha vinto, facendo tutto quello che il PD in Italia in questi anni ha scelto di non fare: rivendicando il dovere di fare spesa in deficit, promettendo aumenti delle pensioni (e anche degli stipendi), investimenti straordinari nella ricerca e sull’ambiente, rivendicando con orgoglio provvedimenti a favore dei migranti e del welfare.

    E ha vinto anche, con un po’ di furbizia, con l’assunzione, nel pubblico impiego, di 11mila nuovi dipendenti. Il leader socialista Pedro Sanchez ha fatto anche lui la rottamazione, ma al contrario: quella contro i vecchi babbioni socialisti che lo avevano destituito per fare un governo con la destra, insieme ai Popolari.

    È esattamente l’opposto di quello che è accaduto in Italia, dove Renzi ha rottamato a sinistra, esautorando i vecchi recalcitranti – tipo Pierluigi Bersani – che non volevano continuare il governo con Alfano.  Perché la domanda di fondo è sempre la stessa: con chi vuoi governare, e per fare cosa?

    Infine, le elezioni spagnole danno una indicazione particolare anche sulle altre alleanze. Sanchez potrà scegliere di governare con il cadaverico Partito Popolare (precipitato al 16,7 per cento). Oppure con i liberisti di Ciudadanos. Oppure, cosa molto più più probabile, potrà fare quello che ha detto in campagna elettorale, quando ha trescato con Podemos, ventilando un’alleanza a sinistra.

    Anche perché il Psoe ha già governato in questi mesi con l’appoggio di Podemos, e questo dopo anni di infinta guerriglia a sinistra, con veti, ripicche e anatemi reciproci. Chiunque ricordasse la Spagna di cinque anni fa, sa bene che questa alleanza tra radicalità e riformismo sembrava impossibile.

    Ed è un dialogo, fra l’altro, che ha fatto aumentare i consensi dei moderati, non quelli dell’ala più radicale. Tutto ciò in Italia significa una sola cosa, dato che le proporzioni elettorali sono abbastanza simili, e persino i trend di crescita delle forze in campo si assomigliano.

    Il Pd di Nicola Zingaretti (che ieri si sperticava di complimenti a Sanchez), se vuole tornare a governare in tempi brevi, dovrà scegliere – come gli suggerisce oggi Massimo Cacciari – di non fare alleanze centriste. E potrà tornare subito in gioco – anche qui come dice Cacciari – solo se aprirà un canale di dialogo con la forza più radicale che trova al suo fianco, ovvero il Movimento 5 Stelle.

    Perché, fateci caso: la sinistra spagnola unita pesa circa il 42 per cento, che è esattamente la stesso peso su cui possono contare il Movimento 5 Stelle e il PD insieme.

    È normale che queste due forze non si siano mai nemmeno sedute intorno ad un tavolo, dopo i disastrosi incontri dell’era dello streaming? No. La politica è fatta del possibile e del necessario. E nel momento in cui Salvini diventa quasi una coalizione a se stante per peso e forza politica, il M5s e il Pd – se vogliono tornare competitivi – possono solo mettere da parte le vecchie ruggini e i vecchi veleni. Esattamente come hanno fatto Pedro Sanchez e Pablo Iglesias.

    Oppure il destino è già scritto: i pentastellati continueranno a governare con Salvini (perdendo consensi). E il Pd correrà per essere piazzato (ma perdente) per altri dieci anni.

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