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    D’Alema: “Berlusconi perseguitato dai giudici? Probabilmente sì”

    Di Marco Nepi
    Pubblicato il 14 Giu. 2023 alle 12:35

    D’Alema: “Berlusconi perseguitato dai giudici? Probabilmente sì”

    Berlusconi ha “probabilmente” avuto ragione nel ritenersi perseguitato da alcuni giudici. È il parere di Massimo D’Alema, storico avversario del Cavaliere, prima da segretario del Partito democratico della sinistra (Pds) e poi da presidente del Consiglio. “Credo che Berlusconi abbia però sollevato un problema reale, declinandolo nel modo sbagliato. E cioè interpretandolo come se ci fosse il complotto dei magistrati di sinistra contro di lui”, ha affermato in un’intervista al Corriere della Sera.

    “In realtà quello che si era determinato nel nostro paese era stato uno squilibrio nei rapporti tra poteri dello Stato, questa è la verità”, ha aggiunto. “L’indebolimento del sistema dei partiti ha lasciato campo a una crescita del potere ‘politico’ della magistratura, che si è arrogata il compito di fare qualcosa di più che perseguire i reati, come per esempio vigilare sull’etica pubblica e promuovere il ricambio della classe dirigente”, il giudizio netto di D’Alema. “Il tema era il riequilibrio, non il complotto contro Berlusconi. E alla fine quel suo scontro con i giudici ha creato un clima nel quale non è stato possibile fare nessuna riforma”.

    Nell’intervista l’ex premier, primo e unico con un passato nel Partito comunista italiano a guidare un governo, ha dichiarato di aver “provato dispiacere” alla notizia della morte di Berlusconi, definendolo un “combattente”. “ Un avversario, certo, ma un uomo capace anche di suscitare ammirazione e persino simpatia dal punto di vista umano”, ha detto D’Alema, che si è sottratto alle polemiche sulla scelta di annunciare il lutto nazionale. “È una decisione che corrisponde a un sentimento non di tutti, certo, ma di una parte importante degli italiani. Non credo che debba essere materia di polemiche”.

    Quella di Berlusconi fu, secondo D’Alema, “una miscela geniale di tradizione e innovazione”. Nel 1994 “era riuscito a catalizzare il voto conservatore e a riempire il vuoto lasciato dalla caduta del Caf (Craxi, Andreotti, Forlani, ndr). Nel nome dell’anticomunismo ma anche presentandosi come ‘il nuovo’ contro la vecchia politica dei partiti”. La sconfitta elettorale che rifilò al Pds nel 1994 fu chiara “abbastanza presto”. “Vidi che buona parte dell’elettorato salentino del mio collegio di Gallipoli, tradizionalmente democristiano, stava slittando verso ‘il candidato di Berlusconi’, un esponente del Movimento sociale che in condizioni normali avrebbe preso il 5%. Mi resi conto che lui era riuscito a mobilitare il corpo profondo del moderatismo italiano contro ‘il pericolo comunista’”.

    Il primo incontro con il leader di Forza Italia risale al 1992: “ero capogruppo alla Camera del Pds e a Montecitorio si discuteva un provvedimento che gli stava molto a cuore. Gianni Letta mi disse che Berlusconi avrebbe voluto incontrarmi. Ci vediamo in un ufficio di Fininvest a Roma, c’era anche Confalonieri. E Berlusconi fu bravissimo: per tutta la durata dell’incontro non fece mai riferimento alla legge che gli interessava”. Berlusconi riempì D’Alema di complimenti chiedendogli di venire a lavorare per lui in televisione. “Gli dissi che non era possibile, visto che ero deputato della Repubblica. Lui rispose che secondo lui non era un problema tanto più che già Giuliano Ferrara, all’epoca parlamentare europeo del Psi, conduceva Radio Londra su Italia 1. Fu molto carino e mi regalò anche un libro: Il principe di Machiavelli, edito da lui e con una sua prefazione. Ci salutammo con cortesia. Quanto a quel provvedimento, noi continuammo a opporci e alla fine non passò”.

    Riguardo Mediaset, D’Alema si è detto “tutt’altro” che pentito di averla definita “patrimonio del paese.”Era un segnale agli imprenditori, non solo a Mediaset, mentre Berlusconi ci dipingeva come comunisti nemici della libera impresa”, ha affermato, respingendo anche l’accusa di essere stato l’uomo dell’”inciucio” con Berlusconi. Chi lo sosteneva, ha sottolineato, mancava “di qualche lettura di Gramsci sull’importanza del compromesso in politica”.

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