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    Il piano di Conte: andare avanti anche sotto i 155 Sì e formare il suo partito centrista

    Giuseppe Conte Credits: ANSA

    Il premier ha scelto la linea della continuità: "Niente dimissioni anche nel caso di una maggioranza semplice"

    Di Veronica Di Benedetto Montaccini
    Pubblicato il 19 Gen. 2021 alle 09:04 Aggiornato il 19 Gen. 2021 alle 09:53

    Conte in Senato: la sfida finale

    È un giorno decisivo per Conte, che apre le danze alle 9,30 al Senato con un discorso all’indomani della fiducia alla Camera con 321 sì. Oltre l’appoggio rinnovato, la prima votazione gli ha restituito un po’ di distensione con il Nazareno e le trattative nella notte hanno portato l’avvocato di Palazzo Chigi a sperare in una maggioranza poco inferiore al “magic number” corrispondente a 161.

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    Niente dimissioni, avanti anche con la maggioranza relativa

    In ogni caso, Conte non ipotizza dimissioni anche se dovesse ottenere una “maggioranza semplice”, cioè con poco margine. “Alla Camera siamo andati oltre le aspettative e se pure al Senato otterremo la maggioranza relativa il governo non cade. Servirà più di tempo per risolvere la crisi, ma possiamo allargare l’alleanza e rimetterci al lavoro”, ha detto il premier.

    Come ha ricordato il costituzionalista del Pd Stefano Ceccanti, non sta scritto da nessuna parte che la fiducia debba ottenere una maggioranza assoluta (cosa invece richiesta per approvare la legge di bilancio o le riforme costituzionali), si tratta più che altro di una “maggioranza psicologica”, per la quale si pensa che numeri bassi indebolirebbero l’esecutivo.

    I conti di Franceschini

    Secondo Dario Franceschini, ministro per i Beni Culturali che ha curato la strategia ad Aule aperte, cioè che ha traghettato Conte verso la richiesta di fiducia alla Camera e al Senato per scongiurare una crisi al buio, i voti di oggi oscillano dai 152 ai 157. Numeri sufficienti per continuare con il Conte bis: “Per quanto debole sarebbe nella pienezza dei poteri”, ha sottolineato il presidente del Consiglio. Ma vediamo nello specifico come dovrebbe presumibilmente assestarsi il pallottoliere di Palazzo Madama. 

    I voti sicuri e voti in dubbio

    Si parte da 142, si arriva senza difficoltà a 152 e con qualche sforzo si punta a 157/158. Sui 321 Senatori quindi per avere la maggioranza assoluta occorrerebbero 161 voti. Il condizionale serve perché il quorum dipende da quanti senatori saranno in Aula: Giorgio Napolitano, per esempio, non partecipa da tempo ai lavori per motivi di salute. Non sempre si reca per votare al Senato anche un altro senatore a vita come Renzo Piano. E per esempio Sandro Biasotti, senatore di Forza Italia, non sarà in Aula per un “grave lutto”, come ha fatto sapere al partito di Silvio Berlusconi.

    Sono 142 i voti sicurissimi: il presidente del consiglio può considerare come Sì i 35 voti del Partito democratico e i 92 del Movimento 5 stelle. A questi vanno sommati i 6 di Liberi e Uguali (che fanno parte del gruppo Misto), 7/8 voti su 9 componenti del gruppo Autonomie: l’ottavo è Napolitano, la nona l’altra senatrice a vita Elena Cattaneo, il cui sostegno al governo è dato per molto probabile. C’è poi il voto di Liliana Segre, che ha annunciato ieri il suo Sì.

    E qui si comincia ad attingere dal resto del gruppo Misto: in totale ha 29 membri, meno i sei di Leu e la Segre fanno 22. Dovrebbero votare, come annunciato, a favore del premier gli esponenti del Maie, il movimento degli italiani all’estero che si sono recentemente costituiti pro-Conte: questo porta il totale dei voti a favore a 147.

    Ha poi annunciato il suo voto a favore della maggioranza l’ex Pd Tommaso Cerno, che si esprimerà come Sandro Ruotolo, altro giornalista eletto dal centrosinistra. Vota la fiducia a Conte da qualche tempo, poi, Sandra Lonardo, cioè la moglie di Clemente Mastella.

    Siamo così a 150, che diventano 152 con due senatori a vita dati probabilmente a favore. Mario Monti ha detto che sceglierà come votare solo dopo aver ascoltato il premier in aula. Carlo Rubbia, spesso assente a Palazzo Madama, dovrebbe partecipare ai lavori per l’occasione e essere anche lui un “costruttore”.

    Per raggiungere i 157, Conte si rivolge agli ex 5 Stelle, che però decideranno solo all’ultimo cosa fare. Sono cinque voti fondamentali: Gregorio De Falco, Lelio Ciampolillo, Tiziana Drago, Luigi Di Marzio e Mario Michele Giarrusso.

    Cosa ha da offrire Conte

    Per arrivare a questa quota di Sì in Senato, Conte ha bisogno quindi di strappare il voto di alcuni dei cosiddetti “responsabili”. Con il progetto a lungo termine di costruire un partito al centro, europeista, ambientalista, liberale e moderato. Con quel nome “Insieme” che si era ipotizzato. Un progetto che tra l’altro manderebbe Matteo Renzi fuori di testa, perché è proprio lo spazio politico che lui desiderava occupare con Italia Viva.

    Ma cosa ha da offrire il “l’avvocato del popolo” per conquistare gli indecisi? Alla fine, stiamo parlando di un partito politico tutto da fare, inserito in un patto di legislatura. Può puntare poi sui ruoli da assegnare: un sottosegretario e due ministeri, di cui la Famiglia sarebbe stata proposta a Paola Binetti. In ultimo, la delega ai servizi segreti. Nelle ultime dichiarazioni, Conte ha detto che “si avvarrà della facoltà di designare un’autorità delegata per l’intelligence, persona di sua fiducia”.

    I Richelieu del Pd e il punto del centrodestra

    Gli equilibri interni al governo sono appesi ad un filo. Per far giurare “amore eterno” dal Partito Democratico, ci è voluta la benedizione di Goffredo Bettini, il pontiere che più si è dato da fare in questo momento di crisi. È così complicato tenere insieme sul “Sì” i dem perché Conte non può promettere loro la guida dell’esecutivo, “altrimenti salterebbe la stabilità nel Movimento Cinque Stelle”.

    Anche nel centrodestra c’è fermento. Questa crisi è un momento di svolta sia per Giorgia Meloni che per Matteo Salvini. Nessuno dei due ha voluto mollare le posizioni del “No” sulle quali sono arroccati. Il leader del Carroccio, infatti, deve restare all’opposizione, onde evitare di lasciare alla numero uno di Fratelli d’Italia una prateria di spazio di voto a destra. 

    Conte in Senato, il discorso

    In Senato si prevede un discorso più “pop” e più diretto, nel quale Conte farà il nome di Renzi (che ieri ha invece evitato). L’ultimo discorso di fiducia al Senato è quello del 20 agosto 2019, ovvero il J’accuse contro Salvini dei “pieni poteri”. Cosa è cambiato un anno e mezzo e una pandemia dopo? Oggi Renzi è convinto al cento per cento di far cadere il governo? Lo sapremo tra pochissime ore.

    Leggi anche: 1. Cosa ha detto Conte: il discorso integrale alla Camera / 2. Il Conte dimezzato: il premier può davvero sopravvivere senza maggioranza? Gli scenari della crisi

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