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    In Italia per farsi ascoltare dai politici bisogna mettersi in mutande: questa foto di Conte lo dimostra

    Di Luca Telese
    Pubblicato il 20 Giu. 2019 alle 11:25 Aggiornato il 20 Giu. 2019 alle 12:57

    Conte Napoli mutande – Guardate questa foto. E provate a pensare alla notizia dell’avvocato che parla in mutande con il premier dal balcone. Ma non ridete, perché non è una barzelletta, non è una breve di colore.

    A prima vista – infatti – questo dialogo surreale potrebbe sembrare una curiosità, solo una immagine buffa su cui sorridere. E invece a me pare terribilmente seria la storia dell’avvocato Raffaele Capasso, 79 anni che a Napoli sentendo dal divano che sul balcone di fronte c’è il premier Giuseppe Conte, si precipita fuori per parlargli, così come si trova.

    Non per dire delle amenità o per omaggiare il potere. Ma con una richiesta ben precisa: quella di tradurre in un decreto d’urgenza il disegno di legge 788 del 2018, del senatore Adolfo Urso. Una norma che agirebbe immediatamente sui crediti in sofferenza e sul tema della cosiddetta “redenzione” del debitore. Norma più che mai comprensibile in tempi di crisi, di società fallite, di persone “squalificate” e minacciate dal peso dalla propria insolvenza.

    Il dettaglio che imbarazza il corteo istituzionale non può sfuggire a nessuno: mentre Capasso faceva questa perorazione era in mutande e maglietta. E bisogna dire che malgrado i sorrisini che lo cirocondavano, martedì pomeriggio, Conte ha discusso della questione con il “collega” senza colpo ferire, come se i due si trovassero in un’aula di tribunale con la toga sulle spalle.

    Se non altro perché Capasso non è l’ultimo arrivato: ha 40 anni di onorata carriera alle spalle, insegna diritto privato all’ Università di Salerno.

    A diventare protagonista del tormentone social all’insegna di “c’è uno in mutande che parla al premier”, dunque, c’era un uomo serissimo e lucido, che infatti ha raccontato il tempismo della sua scelta così: “Stavo riposando sul divano. Mi è stato detto che di fronte era affacciato il presidente. Ho pensato che si sarebbe trattenuto solo qualche minuto sul balcone. Così – ha spiegato Capasso – ho realizzato che se avessi perso tempo a trovare un pantalone da mettere, avrei perso l’occasione”.

    Bravo: tempestivo, fulmineo e determinato. Per di più per una buona causa: il problema dei crediti rilevati a prezzi stracciati dalle società terze per dare la caccia ai debitori. Nessuno sapeva che il professore per un problema simile rischia di veder pignorata la casa dove abita.

    E per questo nessuno poteva essere più credibile di lui quando dice “c’è un pezzo di paese che rischia di finire in mezzo alla strada, il mio sogno è vedere tanta gente tornare a sorridere”.

    Il disegno di legge di cui Capasso perorava la causa contiene una bella idea: quello che il debitore torni in bonus pagando ai cessionari solo il prezzo di acquisto dalle banche maggiorato del 20 per cento. Nessun regalo, dunque, ma – soprattutto – nessun furto.

    Solo che nessuno di noi lo avrebbe mai saputo, se l’avvocato Capasso non avesse fatto la scelta giusta tra la forma e la sostanza, fra l’etichetta e i pantaloni. Sono le mutande che ci hanno aperto gli occhi. E la differenza la fa quello che c’è dentro, non il modo in cui appaiono fuori.

    Le ultime mutande che avevano fatto notizia – a mia memoria – erano quelle del furbetto del cartellino. Miserabile non per la sua mise, ma per la sua pretesa di timbrare senza uscire dal letto.

    Tuttavia c’erano state anche le mutande del sindaco Albertini, addirittura esibite come una divisiva. Quindi non guardate questa foto per ridere di una posa grottesca, ma pensate al fatto che sono molti i cretini inappuntabili in giacca e cravatta, mentre si può essere davvero elegantissimi. Anche e soprattutto in mutande.

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