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    Altro che burattino, Conte sul caso Siri ha ragione da vendere (di G. Cavalli)

    Il premier italiano Giuseppe Conte. Credit: Aris Oikonomou / AFP
    Di Giulio Cavalli
    Pubblicato il 4 Mag. 2019 alle 18:47 Aggiornato il 4 Mag. 2019 alle 19:14

    Sì, lo so, lo abbiamo criticato e lo critichiamo spessissimo per la sua inconsistenza. Dipinto come un burattino Giuseppe Conte, presidente del Consiglio, si è scoperto improvvisamente decisionista sul caso Siri e ha deciso che è arrivato il momento per dimettere il sottosegretario che sta facendo una stupida melina per provare a non mollare la sedia.

    E ha ragione Conte, fatemelo dire, ha ragionissima: qui non si tratta della vicenda giudiziaria (come vuole farci credere qualcuno) ma siamo nel campo dell’opportunità che in politica, eh sì, ha un valore.

    Il sottosegretario Siri ha insistito per un emendamento (per di più retroattivo) che favorisca qualcuno che ha parlato con lui. Qui sta la gravità del tutto: avere costruito una norma ad personam indipendentemente dal fatto che sia esistita corruzione e che sia più o meno vicino il grande latitante di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro.

    Fa male Salvini a parlare di attacco giudiziario e di carnefici o di mandanti quando in realtà il presidente del Consiglio semplicemente sta cercando di mantenere senza ombre l’operato del proprio governo.

    E che Salvini se la prenda con Conte dimostra ancora di più che il presidente del Consiglio abbia agito per il bene di un governo che evidentemente il leader della Lega considera finito (bontà sua) ma che per mero calcolo elettorale vuole tenere vivo fino alle europee.

    Giuseppe Conte ha deciso secondo le regole del buon governo: è mai esistito un sottosegretario così innamorato di un emendamento che non interessa agli italiani se non a qualche paio di persone? Sì, forse, sì. Ma almeno quelli prima di Siri avevano la capacità e l’intelligenza di declinare l’emendamento in modo più generalizzato per non farsi sgamare.

    Siri non è degno di rimanere seduto su quella poltrona e bene ha fatto il presidente del Consiglio a ostinarsi nel rimanere sulla propria posizione. Che poi in tutto questo ci sia di mezzo Arata e il prestanome di Matteo Messina Denaro getta un’ombra ancora più consistente sulle pressioni di Siri.

    Per dirla franca: a noi non interessa (per ora) che Siri abbia preso soldi o che gli siano stati promessi. Il fattaccio si è già consumato nel momento in cui – alla faccia di un contratto per gli italiani tutti – è rientrata una norma per due italiani due. Se qualcuno, come Siri vuole lavorare per le sue piccole lobby lo faccia tranquillamente da parlamentare libero e senza occupare poltrone di governo.

    Bravo Conte e se davvero, come dice Salvini, Di Maio ne è stato il mandante allora anche bravo Di Maio. Qui il garantismo c’entra come il cavolo a merenda.

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