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    Il caso Siri puzza di mafia, molto più di quello che la Lega vorrebbe far credere (di G. Cavalli)

    Il segretario della Lega Matteo Salvini interviene alla scuola di formazione politica del suo partito, Milano, 11 Marzo 2018. ANSA / MATTEO BAZZI
    Di Giulio Cavalli
    Pubblicato il 23 Apr. 2019 alle 12:12 Aggiornato il 24 Apr. 2019 alle 10:48

    È una cosa enorme il caso Siri. Molto più grossa di quello che vorrebbe farci credere il ministro dell’inferno Matteo Salvini e molto peggio di quello che potrebbe essere distolto da qualche tweet sconsiderato di Morisi e compagnia.

    È storia di mafia, mafia quella vera, quella Cosa Nostra che da anni ha già capito che le fonti rinnovabili solo il nuovo tesoro da spolpare e, dentro, c’è anche la primula rossa della mafia, quel Matteo Messina Denaro che nessuno trova eppure si ritrova spesso nei soldi di qualche testa di legno che ha prestato il proprio codice fiscale per riciclare i suoi soldi.

    I fatti, intanto: secondo l’accusa il sottosegretario leghista Armando Siri (di quella Lega che ci promette di sconfiggere le mafie nel giro di alcuni mesi) avrebbe ricevuto del denaro tramite Paolo Arata per modificare una norma da inserire nel Def 2018.

    Paolo Arata è anche padre di quel Federico, braccio destro di Salvini sulle questioni internazionali e (questo è provato) uomo molto vicino a Federico Nicastro, condannato per essere uno dei prestanome di Matteo Messina Denaro.

    Siamo a pochi gradi di separazione tra il ministro dell’interno è il boss di Cosa Nostra, per capirsi, roba che avrebbe fatto saltare sulla sedia una seria e attenta opposizione e che, mica per niente, spinge il l’ex Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti a dire «A dispetto di tanti proclami di cambiamento, in questa indagine mi sembra di rivedere quel modello di corruzione politico-mafiosa che ha avvelenato la vita del Paese e ha consentito alle organizzazioni criminali di entrare nelle istituzioni».

    Paolo Arata, tramite il figlio Federico, è quella cerniera tra imprenditoria mafiosa e politica che da anni proviamo a descrivere come insospettabili colletti bianchi e che ora esce in tutto il suo clamore.

    Ha poco da ridere Salvini e da fare il garantista con il suo sottosegretario Siri. Che un suo uomo fidato sia considerato a disposizione di Cosa Nostra, al di là delle risultanze giudiziarie, dovrebbe mettere tutto il governo sull’attenti e con le orecchie ben aperte, tenendo conto che difficilmente un uomo di mafia millanta un emendamento in arrivo rischiando addirittura di farsi dare dei soldi in cambio se non sa di poter comodamente centrare l’obbiettivo.

    Possiamo poi discutere del fatto che Siri non sapesse di essere considerato abbordabile (lo appurerà l’inchiesta, se ci riuscirà, visto che della famosa cena tra Arata e Siri non ci sono le registrazioni a causa dell’immunità parlamentare).

    Qui non si tratta solo del fatto che convenga a tutti che Siri stia fermo un giro e aspetti il risultato della magistratura ma si tratta soprattutto di un ministro che vorrebbe spaventare i mafiosi e invece (dai tempi di Belsito fino alla continua strenua difesa di Berlusconi) puzza di mafia molto più di quello che vorrebbe far credere. E non bastano le parole. Servolo le azioni. Le azioni.

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