Il Ministero della Giustizia guidato da Carlo Nordio fu informato del fermo del generale libico Najeem Osama Almasri già nel primo pomeriggio di domenica 19 gennaio, poche ore dopo che erano scattate le manette. Il Dipartimento degli Affari di Giustizia, organo della magistratura che seguiva il caso, ricevette da Via Arenula l’indicazione di mantenere il massimo riserbo sulla vicenda e di utilizzare canali di comunicazione criptati. È quanto viene ricostruito nell’indagine del Tribunale dei Ministri sulla mancata consegna di Almasri alla Corte Penale Internazionale da parte delle autorità italiane.
Il Tribunale dei Ministri ha concluso l’inchiesta, che vede indagati per favoreggiamento e peculato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il sottosegretario di Palazzo Chigi Alfredo Mantovano, il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il ministro degli Interni Matteo Piantedosi, con Nordio che è indagato anche per omissione d’atti d’ufficio. I magistrati dovranno ora pronunciarsi nei loro confronti per la richiesta di archiviazione o di rinvio a giudizio.
All’inizio di quest’anno il caso Almasri ha suscitato scandalo contro il Governo: i ministri Nordio e Piantedosi sono stati anche al centro di una mozione di sfiducia, poi respinta dalla maggioranza in Parlamento.
Il generale libico viene fermato dalla Digos di Torino domenica 19 gennaio in esecuzione di un mandato d’arresto spiccato il giorno prima dalla Corte Penale Internazionale di L’Aja. Almasri è accusato dai procuratori internazionali di crimini di guerra e crimini contro l’umanità, ma martedì 21 gennaio la Corte d’Appello di Roma ne ordina la scarcerazione e il Ministro degli Interni lo rimpatria in Libia con un volo di Stato.
I giudici capitolini motivano la decisione di non convalidare il fermo con la mancata autorizzazione all’arresto da parte del Ministero della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte Penale Internazionale. Il ministro Nordio ha sempre spiegato di non aver avuto il tempo di esaminare il mandato d’arresto proveniente da L’Aja, sul quale – a detta sua – pendevano diversi presunti vizi.
Dagli atti dell’indagine del Tribunale dei Ministri – secondo quanto riportano oggi Corriere della Sera e La Repubblica – il Ministero della Giustizia era stato informato del fermo di Almasri poche ore dopo l’intervento della Digos.
Successivamente, l’allora capo del Dipartimento degli Affari di Giustizia, Luigi Birritteri (poi dimessosi e rientrato in ruolo), scrisse alla capo di gabinetto di Nordio, Giusi Bartolozzi, per segnalare la necessità come, per convalidare il fermo, fosse necessaria l’autorizzazione da parte del ministro. Bartolozzi rispose di essere già informata del caso e raccomandò prudenza: “Massimo riserbo e cautela”, avrebbe intimato a Birritteri, suggerendo di evitare scambi ufficiali e di usare canali criptati come l’app di messaggistica crittografata Signal.
Nella sua ricostruzione davanti al Parlamento, Nordio ha affermato di aver ricevuto solo una segnalazione vaga nella giornata di domenica 19 gennaio e di essere stato formalmente informato solo il giorno successivo. Ma i documenti acquisiti durante l’indagine del Tribunale dei Ministri indicano che l’atto d’accusa completo firmato dai giudici di L’Aja era stato trasmesso, tramite piattaforma Prisma, già dal pomeriggio di domenica.