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    La Superlega è fallita, ma le Multinazionali torneranno all’attacco

    Di Barbara Di Giacomo
    Pubblicato il 21 Apr. 2021 alle 19:38 Aggiornato il 21 Apr. 2021 alle 19:42

    Dopo aver tenuto in ansia milioni di tifosi e speculatori finanziari, la bolla Superlega si è sgonfiata rapidamente come si era propagata. L’onda d’urto di una valanga di voci contro, dalla politica allo sport e il coro di indignazione proveniente dall’opinione pubblica, hanno affossato in 24 ore il sogno di creare un Campionato dei Migliori capitanato dai super Club del calcio europeo. 

    In molti hanno compreso come dietro al tentativo ci fosse, soprattutto, la necessità di salvare le fragili economie fiaccate da un anno di pandemia, ma già l’aver pensato che potesse essere fattibile una sorta di Play off sul modello americano, dovrebbe inquietarci. Che poi sia fallito grazie anche al dietrofront proprio degli investitori americani spaventati dalla dura reazione dell’opinione pubblica, non ci deve far dormire sonni tranquilli. Ci hanno provato una volta e non ci sono riusciti, ma ci riproveranno.

    Perché lo scopo è quello di americanizzare il globo pezzetto per pezzetto, creando la situazione ideale per le multinazionali di vendere lo stesso prodotto a consumatori con le stesse richieste. Vuoi mettere quanto sarebbe più facile se in tutto il mondo si bevesse solo Coca Cola, si mangiasse solo da Mc Donald’s e si guardassero solo i Play Off o il Super Bowl dove giocano le celebrities pagate miliardi con le pubblicità della Coca Cola e di Mc che tutti vedono negli intervalli? Sarebbe tutto molto più facile. Soprattutto per le multinazionali.

    Le vie sarebbero tutte uguali, una sfilza di Zara, Sephora, Starbucks e Footlocker, intervallate da qualche cinese o bangladino, dove tutti andremmo a comprare gli stessi vestiti e le stesse scarpe e tutti vivrebbero felici e contenti come le star di Hollywood o le celebrities del calcio. Peccato che non sia vero. E che la bugia con la quale ci vendono come oro la cartapesta del finto sogno americano, per farcela comprare ed esportare in tutto il mondo, in realtà somiglia di più a una trasposizione distopica del Medioevo più buio. Nell’Era illuminata degli strombazzati pseudo diritti d’inclusione di genere, miliardi di persone vivono in condizioni di povertà equiparabili agli scalini più bassi della civiltà medievale.

    Una moltitudine di schiavi che sorreggono e finanziano, lavorando dodici ore al giorno, i capricci di pochi fortunati, che vivono in un mondo dorato. Precari e non delle Multinazionali statunitensi (Amazon, Uber, ecc.) commercianti, ma anche semplici dipendenti, nonostante il loro duro lavoro non riescono ad arrivare a fine mese e si impoveriscono. Mentre qualcun’altro accumula ricchezze spropositate.

    Siamo scivolati in questa disuguaglianza incolmabile senza accorgercene. Abbiamo divorato l’esca americana attratti dallo scintillio dei pro, ignorando i tanti contro. Ci hanno dato in pasto, come contentino, i diritti civili in salsa arcobaleno, conditi con le paillettes dei movimenti Lgbt, in cambio delle tutele dei lavoratori e della classe media. Detonando simultaneamente l’importanza dell’uno e dell’altro diritto.

    Questa è l’unica differenza con i Secoli Bui: allora nessuno si preoccupava di tranquillizzare il Terzo Stato, adesso si cerca di sedarlo, barattando l’accettazione di economici diritti di facciata, in cambio di più onerose richieste di equità. Si butta fumo negli occhi del popolino per nascondere la scalata delle intollerabili disuguaglianze che stanno cancellando la classe media in favore dell’egemonia economica di pochi fortunati.

    Lavorare otto ore al giorno non garantisce più il diritto alla salute, all’istruzione e alla casa? Che problema c’è. Convinciamoli che abbiamo a cuore la parità di genere e la lotta alla discriminazione razziale. Così la smetteranno di chiedersi perché il divario aumenta e i diritti diminuiscono. Sediamoli con il politicamente corretto fatto di arcobaleni e paillettes, così dimenticheranno i privilegi guadagnati in secoli di lotta di classe. Che importa se la matrice è sempre la stessa e i diritti calpestati sono quelli universali e non quelli individuali. Chi se ne accorgerà.

    E intanto la voragine aumenta, scavando lo stesso fossato che, nel Medioevo, divideva il castello del Signore dai suoi servi, alimentata dalla polarizzazione creata per favorire la guerra tra poveri (stavolta di diritti). Negli Stati Uniti, ignari, per ovvie questioni anagrafiche, dei travagli europei che hanno portato alla cancellazione di tali divari, è in atto una guerra tardiva su diritti per noi ormai acquisiti.

    L’istruzione di serie A, per esempio, quella che approda alle università della Ivy League che garantiscono – non sempre – uno stipendio post Laurea a sei zeri, è riservata ai figli dei più facoltosi. Quelli che pur di assicurare ai pargoli l’ingresso in una delle università più prestigiose sono disposti a pagare cifre a sei zeri, magari aiutandosi con una delle tante società di consulenza nate per superare al meglio i difficili test di ingresso. Quelli in grado di sostenere gli esorbitanti costi di un completo ciclo di studi negli Istituti privati (solo un anno ad Harvard, comprensivo di alloggio, costa circa 70mila dollari), che iniziano sin dalle elementari.

    A parte i pochi meritevoli beneficiari delle borse di studio, sportive e non, che ancora riescono a realizzare, in minima parte, quel Sogno Americano al quale si cerca di far appassionare il resto del Globo, ma che in realtà non esiste più. E’ solo una facciata fatta di plexiglass e cartongesso di una qualsiasi Main Street in una qualsiasi Disneyland. E la progressista, sul serio, Europa, sembra incline ad adottare questo modello medievale nel quale vincono sempre i più forti e i più prepotenti. Come la Superlega.

    Noi europei, fieri, almeno in superficie, dei nostri diritti acquisiti in secoli di guerre intestine, ci troviamo, ancora una volta, al centro di lotte geopolitiche di sistema. Da una parte, i regimi comunisti-russi e cinesi- poveri di diritti civili, ma zeppi, più o meno, di sicurezze statali per tutti. Dall’altra parte, la pseudo democrazia statunitense, basata sulla meritocrazia o, soprattutto negli ultimi decenni, sul successo scostumato di pochi fortunati eletti dalla sorte.

    Perché quella meritocrazia che alimentava il sogno americano attraverso talenti incontrovertibili, raggiungibili anche dagli ultimi posti della scala sociale, recentemente sembra più orientata dai possedimenti monetari. Fino a pochi anni fa, negli Usa, anche se nascevi povero potevi aspirare a diventare Presidente degli Stati Uniti. Il Sogno Americano consisteva proprio in questo: non importava da dove venivi, ma dove volevi arrivare. Con la giusta grinta e determinazione si poteva scalare e superare qualsiasi ostacolo sociale. Obama docet. Negli USA, nostro modello di sviluppo sancito dal Patto Atlantico, la realtà è, invece, piuttosto avvilente.

    Anche se hai un lavoro a tempo pieno, non sei al riparo dalla povertà assoluta. Lo dimostrano le distese di homeless a Skid Row, il quartiere inferno nel cuore della progressista e luccicante Los Angeles, dove migliaia di senzatetto cercano riparo dopo aver perso il diritto ad avere una casa in seguito, magari, a qualche rata di mutuo non pagata perché licenziati senza motivo, o a qualche fattura esorbitante presentata dagli Ospedali, che le assicurazioni non hanno coperto per qualche cavillo. Non esistono paracadute statali per chi perde il lavoro da un giorno all’altro. Negli Usa a prescindere dal merito, ci si trova a dover pagare comunque onerose rate di mutuo e di assistenza sanitaria privata. Con il concreto rischio di perdere entrambe se non si hanno i dollari necessari a pagarle.

    La sanità e l’istruzione in America sono votate al privato ed è questo il modello al quale ci stiamo rovinosamente avviando. Lo abbiamo tastato con mano in Lombardia, dove l’assistenza sanitaria pubblica è stata depredata in favore di quella privata. Lo stiamo assaggiando nell’Istruzione pubblica dove, a parte poche Scuole in zone privilegiate delle nostre città, già si percepisce il divario tra validità del pubblico rispetto al privato. A Roma centro ci sono delle ottime scuole pubbliche, a Tor Bella Monaca no. E se hai a cuore l’istruzione dei tuoi figli sei obbligato a scegliere il privato. Se te lo puoi permettere, altrimenti già parti svantaggiato. Perché qui non ti salvano nemmeno le borse di studio sportive…

    In pratica, stiamo sposando un sistema nel quale i servizi essenziali, pessimi, sono garantiti a quasi tutti, ma i migliori servizi solo a chi può permetterseli. In un vizioso circolo che favorisce solo i più abbienti, che non coincidono nemmeno più con i più meritevoli, ma spesso con i più furbi o fortunati. Quelli che girano oggi per Rodeo Drive o sulla Quinta Strada, spendendo migliaia di dollari mentre fanno lo slalom tra uno Starbucks e un Victoria’s Secret, sono l’aspirazione e il modello di quelli che domani faranno lo stesso slalom a Via del Corso o a Via Montenapoleone. 

    In questa realtà gentrificata fatta di strade tutte uguali, con edifici tutti uguali e negozi tutti uguali, si perdono i diritti di tutti, mentre quelli di pochi si prendono tutto. Questo è quello che c’è veramente dietro alla faccenda Superlega. Nel caso non l’aveste capito.

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