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    L’assurda polemica contro lo spot Lavazza che cita Charlie Chaplin: “Propaganda gender”

    Di Luca Telese
    Pubblicato il 7 Mag. 2020 alle 18:04

     

     

    L’assurda polemica sullo spot Lavazza che cita Charlie Chaplin

    Adesso, per i Neanderthal della rete, anche la Lavazza è diventata “buonista”, “gender”, “pericolosa”. Meglio così. Fa una certa impressione scoprire, nel 2020, persino in questo sanguinolento luttuoso e torbido squarcio di 2020, che l’imbecillità è sempre in servizio permanente attivo, e che uno dei più bei monologhi della storia del cinema, quello de Il Grande Dittatore di Charlie Chaplin, sia ancora percepito come dissacrante e dirompente, capace di turbare le coscienze dei soliti troglotwitters di turno.

    Fa una certa impressione scoprire che un nuovo montaggio, dove parole antiche si sposano con nuove immagini, può dare nuova vita e nuova forza dirompente a idee senza tempo. Ed è vero anche che quel Chaplin ci è sempre sembrato così straordinariamente moderno, al punto che il nuovo video con cui lo spot è stato “vestito” è diventato perfettamente attuale. Proprio come nella definizione immortale di Italo Calvino, quella secondo cui “un classico non smette mai di dire, quello che ha da dire”, il monologo che era stato pensato per combattere la follia di una civiltà sull’orlo della catastrofe torna a parlare agli uomini del terzo millennio, sempre sull’orlo di nuove catastrofi.

    Dunque, che cosa scandalizza di più in questo spot? Che ci siano tante immagini che parlano d’amore, sia pur declinato in tutte le combinazioni possibili (compresa la foto di due anziani di spalle con i capelli bianchi)? Oppure è la forza dirompente di concetti semplici ma potenti di quell’immortale crescendo Chapliniano, che infrange le barriere del pregiudizio, dell’ottusità, del rancore? Danno più fastidio le bambine che si abbracciano, o l’invocazione chiave: “Eliminiamo l’avidità, l’odio e l’intolleranza”?

    Io credo che la miscela perfetta di questi elementi sia il congegno che ha fatto scrivere ad alcuni sparuti cavernicoli che la Lavazza “va boicottata”, e che lo spot “è una pagliacciata a favore dei gay”. E credo che l’effetto positivo – di contro – sia stato l’assoluta preponderanza di coloro che, anche grazie alle invettive, hanno (ri)scoperto proprio oggi il monologo del piccolo barbiere ebreo, la scintilla dell’intelligenza e dell’emozione che diventa contagiosa.

    Spesso le pubblicità progresso prendono una bella bandiera, e la piegano alle loro esigenze commerciali, comprimendo nella calligrafia e nella strumentalità grandi luci ideali. Stavolta è accaduto il contrario. Bisogna ringraziare chi ha pensato questa campagna perché ha fatto in modo che accadesse esattamente l’opposto. Questa campagna ha usato la leva potente della pubblicità come un veicolo per ridare luce ad un classico senza tempo. E noi, con emozione, accostiamo l’orecchio a questo antico-nuovo discorso, per sentire cosa ha ancora da dire il grande Chaplin su di un mondo che non ha fatto in tempo a vedere, nell’arco della sua vita mortale, ma di cui era riuscito a indovinare le criticità, nello spazio smisurato e potente della sua inventiva artistica.

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